La Green economy ci salverà 

Da alcuni anni Symbola, la Fondazione per le qualità  italiane creata e presieduta da Ermete Realacci, persegue con tenacia un obiettivo: dimostrare dati alla mano che lItalia per continuare a produrre benessere per i suoi cittadini e a competere nel mondo deve fare lItalia, cioè puntare con più forza su quella soft economy – fatta di creatività  imprenditoriale, forti legami territoriali, cura della qualità  sociale che è sempre stata il suo marchio di fabbrica. Insomma l’esatto contrario della via indicata da Marchionne. Scegliere invece la “soft economy” è oggi la via maestra che può consentirci di uscire prima e meglio dalla drammatica crisi economica di questi anni. Ed è una via che nel secolo appena iniziato intreccia strettamente unaltra scelta strategica: investire sullinnovazione ecologica, sulle tecnologie e sui prodotti verdi, terreni dincontro virtuoso tra la necessità  di rispondere ai problemi ambientali del nostro tempo  – linquinamento, leccessivo consumo di risorse naturali, i cambiamenti climatici e la possibilità  di fare impresa in modo sempre più conveniente, efficiente, competitivo.
Nasce da qui lidea della green Italy, al centro dellultimo Rapporto di Symbola e Unioncamere presentato in questi giorni. E unItalia, questa verde, già  in campo. Abitata, innanzitutto, da migliaia di imprese – delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica, della chimica verde, delle materie prime riciclate, del turismo dei parchi e della natura – che non solo stanno resistendo meglio alla recessione, ma in tanti casi stanno crescendo. Così, siamo diventati il secondo Paese in Europa e il quarto nel mondo per energia solare fotovoltaica installata; siamo tra i primi – davanti a giganti come Stati Uniti e Giappone – per investimenti in efficienza energetica; abbiamo visto affermarsi “campioni” mondiali della chimica verde come Novamont, leader assoluta nella produzione di plastiche biodegradabili.
Ma l’Italia verde è decisamente più larga dei confini della “green economy”. Riguarda da vicino anche molti comparti delleconomia tradizionale – dalla meccanica allelettronica, dalla farmaceutica  alla gomma e alla carta impegnati a riconvertire processi e prodotti; e soprattutto comprende lanima, il cuore della manifattura made in Italy: campioni piccoli e grandi che che miscelando qualità  ambientale, innovazione, un solido legame con la propria constituency territoriale, stanno trovando malgrado la crisi la loro via verso il futuro.

Questo scenario trova una conferma vistosa nei numeri del Rapporto Symbola-Unioncamere: quasi un quarto di tutte le imprese industriali e terziarie italiane tra il 2009 e il 2012 ha investito in tecnologie e prodotti “green”, e le imprese della green Italy mostrano una propensione all’export quasi doppia rispetto a tutte le altre (il 37% è presente sui mercati esteri, contro il 22% delle altre). Anche sul fronte delloccupazione la green Italy sembra possedere una marcia in più:  quasi il 40% delle assunzioni complessive (lovoro stagionale incluso) programmate dalle imprese italiane dellindustria e dei servizi per lanno in corso, si deve ad aziende impegnate in ecoinvestimenti. Da sottolineare, ancora, un ulteriore dato che emerge dal Rapporto: la percentuale delle imprese green è sostanzialmente analoga da nord da sud, a riprova che lItalia verde è un orizzonte che può dare gambe più forti e testa più lucida al nostro Mezzogiorno.

Tutto bene, allora? Basta aspettare e la “green Italy” ci tirerà  fuori dai guai e dalle secche che oggi sembrano paralizzarci? Non è così. Perché l’Italia verde non sia più nicchia, per quanto grande e accogliente, ma diventi sistema, serve un impegno forte da parte della politica e in generale delle classi dirigenti. Finora questo impegno non c’è stato, non c’è stato nel decennio berlusconiano ma nemmeno, va detto, nell’anno e più di governo Monti. La vitalità  e lintelligenza dellItalia green hanno bisogno, per segnare la via di una possibile rinascita italiana, di una politica che onori molto di più e molto meglio la sua missione: sostenendo leconomia della qualità  e dellinnovazione invece di quella dei sussidi e dei monopoli; ritrovando la via delletica pubblica; colpendo al cuore le piaghe dellillegalità  e di una crescente, insopportabile e antieconomica distanza tra ricchi e poveri; rivoluzionando nel segno della manutenzione e dell’ambiente la politica delle infrastrutture;  contrastando con molta più forza fenomeni crescenti di degrado ambientale – dal dissesto idrogeologico, all’inquinamento delle città , alle conseguenze dei cambiamenti climatici in atto – che determinano altissimi costi umani, sociali, economici.

Questa è una sfida in particolare per il Pd e per il centrosinistra, chiamati dalla loro ambizione progressista a dare voce e risposte alla voglia di cambiamento, alla sofferta e ogni tanto disperata domanda di futuro che sale nel Paese, sale da grandi e indifferenziati movimenti dopinione (cosaltro è lantipolitica se non una domanda selvaggia e disperata di una politica diversa?) e sale da settori importanti e promettenti delleconomia, del mondo degli interessi. Per vincerla, questa sfida, dell’Italia verde è impossibile fare  a meno. In essa vive infatti uninedita alleanza sociale per un vero, profondo rinnovamento  che aiuti lItalia a fare come sa e meglio che può il suo mestiere. Quel mestiere che è sempre lo stesso magistralmente sintetizzato un po di tempo fa da Carlo Maria Cipolla: fabbricare allombra dei campanili cose che piacciono al mondo. 
 

ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE