PONTE Stretto/ Donati (Verdi) e Ferrante (DL): “Unione Senato chiede al governo di sospendere l’opera”

Risoluzione al Dpef punta a infrastrutture utili al Sud e superamento legge Obiettivo

“Sospendere l’iter di realizzazione del Ponte sullo Stretto e destinare, invece, le risorse alle opere di cui il Mezzogiorno ha realmente bisogno. Lo prevede la risoluzione di maggioranza al Dpef che punta, inoltre, a nuove regole di programmazione integrata con il Piano Generale dei Trasporti e della Logistica (PGTL) ed al superamento della legge Obiettivo”. Lo annunciano la presidente della Commissione LLPP del Senato, Anna Donati (Verdi), ed il senatore dell’Ulivo Francesco Ferrante ( DL). “La risoluzione dell’Unione al Dpef 2007-2011 ha messo nero su bianco un impegno già  assunto in campagna elettorale dalla coalizione guidata da Romano Prodi: sospendere l’iter di realizzazione del progetto del Ponte sullo Stretto di Messina. In alternativa a questo investimento colossale ed inutile ai fini della mobilità  al sud – spiegano – l’Unione intende ‘sostenere con adeguati finanziamenti gli investimenti sulla rete stradale, ferroviaria e portuale del Mezzogiorno’ “. “La risoluzione – aggiungono – impegna il governo anche a ‘sviluppare il programma di investimenti pubblici e l’utilizzo di disponibilità  finanziarie anche private per l’ammodernamento infrastrutturale del Paese, mediante una programmazione fortemente integrata con il PGTL e il suo aggiornamento’. Questo – continuano gli esponenti dell’Unione – per garantire il coinvolgimento delle realtà  regionali e territoriali, espropriate di ruolo decisionale dal governo Berlusconi, ed assicurare un costante controllo e monitoraggio del Parlamento sugli investimenti”. “Nella risoluzione si legge che ‘gli indirizzi strategici relativi alle politiche infrastrutturali dovranno privilegiare la mobilità  sostenibile e l’equilibrio intermodale’, e che ‘dovrà  essere superata la legge Obiettivo’. Una norma completamente fallimentare – sottolineano – le cui inutili scorciatoie hanno unicamente inasprito i rapporti con i territori e creato pesanti contenziosi con l’Europa. Il libro dei sogni, firmato Berlusconi-Lunardi, è finalmente chiuso: ripartiamo dagli interventi capaci di rispondere alle esigenze concrete di mobilità  di cittadini e merci nel nostro Paese”. “Ora che anche il parlamento si è espresso – concludono Donati e Ferrante – il governo proceda rapidamente alla sospensione dell’iter di realizzazione del Ponte.”

Missione militare in Afghanistan

FERRANTE (ULIVO): “VOTO SàŒ AL RIFINANZIAMENTO DELLA MISSIONE MILITARE IN AFGHANISTAN”

Io, pacifista, e fiero di esserlo voto sì al rifinanziamento della missione militare in Afghanistan. E lo faccio senza tentennamenti e tormenti. Ero contrario a quella guerra e, insieme alla mia associazione – Legambiente – e a tanti altri, scendemmo in piazza per manifestare il nostro dissenso. Penso oggi come allora che non è con la guerra che si risolvono i problemi: nessuno, nemmeno quello drammatico del terrorismo. Ricordo che dopo l’11 settembre, per un breve periodo sembrò che il mondo volesse fermarsi a riflettere e a capire cosa l’aveva condotto a quella tragedia. Dicemmo che l’attentato alle Torri Gemelle aveva forse il “lugubre merito” di imporre a tutti una seria riflessione sulle cause del terrorismo e che molto aveva a che fare con la questione della giustizia sociale, della povertà , della democrazia. Il mondo aveva bisogno di “interdipendenza”, questo si scriveva sui giornali, questo dicevano molti leader, non solo il movimento pacifista che in quelle settimane cresceva e conquistava tanti alle sue ragioni. Quella breve stagione di consapevolezza, a mio parere, fu bruscamente interrotta, prima ancora che dalla guerra in Irak, proprio dalla decisione americana di intervenire in Afghanistan con l’obiettivo di colpire i talebani complici di Al Quaeda. Quell’obiettivo è stato raggiunto, ma il terrorismo continua, anzi colpisce sempre più diffusamente, la situazione dell’area è peggiorata e anche l’Afghanistan non è affatto pacificato. Fare la guerra è facilissimo, costruire la pace è difficilissimo. Credo che solo ricordando questi presupposti si possa guardare alla situazione con realismo e senso di responsabilità . Ma di fronte a tutto ciò, la domanda da farsi è se sia giusto un “disimpegno” italiano oggi, non cosa si sarebbe dovuto fare cinque anni fa. Se è giusto andarsene e lasciare quel popolo in balia di una nuova guerra civile o piuttosto rimanere per cercare di contribuire al rafforzamento di una democrazia che finora ha emesso solo vagiti. Il miglioramento della condizione femminile non è certo un dato acquisito e purtroppo riguarda solo una porzione piccola di quel Paese, ma verrebbe travolto in assenza di un controllo anche militare. E infatti non credo sia un caso che nei documenti che ci arrivano dalle donne afgane, il RAWA per esempio, pieni di critiche feroci relativamente ai comportamenti delle forze militari USA, mai si chiede il ritiro delle nostre truppe. Certo la natura della missione deve cambiare radicalmente. Non solo dobbiamo uscire da quella americana Enduring Feedom che continua ad essere condotta in modo irresponsabile, ma dobbiamo adoperarci in tutte le sedi perché il mandato della missione Isaf voluta dall’Onu cui continueremo a partecipare e sulle sue regole di ingaggio sia tale da assicurare che la legittima presenza multilaterale di stabilizzazione e sicurezza rimanga tale e non si trasformi in alcun caso in operazione di guerra. E dobbiamo smetterla, come recentemente hanno richiesto tutte le Ong italiane, di confondere le operazioni di cooperazione internazionale, da sostenere e rafforzare, con quelle militari che sono tutt’altra cosa. E’ questa confusione che ha portato le Ong a rifiutare di operare contigue al PRT italiano nella provincia di Herat, mentre continuano ad essere attive in altre province. Insomma il dibattito di questi giorni si rivelerà  utile se si concluderà  non solo con l’indispensabile decisione di non abbandonare l’Afghanistan, ma se servirà  a un definitivo chiarimento circa la distinzione tra operazioni militari di guerra – vietate dalla nostra Costituzione, ma anche dal diritto internazionale – e autentiche operazione di polizia internazionale (militare e civile). E se, come chiediamo in un recente appello della Tavola della Pace, servirà  a trovare un nuovo slancio per chiedere la riforma e la democratizzazione dell’Onu, che è la vera sfida per costruire un mondo con meno guerre. Infine, in questi giorni di guerra in Libano, questo nostro “si” alla missione si deve accompagnare ad altri tre “Si”: si all’immediato cessate il fuoco, si ad una forza di pacedell’Unione Europea, si al negoziato politico con tutti.

Io, pacifista, voterò sì

Articolo uscito sul quotidiano “Europa”

Io, pacifista, e fiero di esserlo voto sì al rifinanziamento della missione militare in Afghanistan. E lo faccio senza tentennamenti e tormenti. Ero contrario a quella guerra e, insieme alla mia associazione – Legambiente – e a tanti altri, scendemmo in piazza per manifestare il nostro dissenso.

Penso oggi come allora che non è con la guerra che si risolvono i problemi: nessuno, nemmeno quello drammatico del terrorismo. Ricordo che dopo l’11 settembre, per un breve periodo sembrò che il mondo volesse fermarsi a riflettere e a capire cosa l’aveva condotto a quella tragedia. Dicemmo che l’attentato alle Torri Gemelle aveva forse il “lugubre merito” di imporre a tutti una seria riflessione sulle cause del terrorismo e che molto aveva a che fare con la questione della giustizia sociale, della povertà , della democrazia. Il mondo aveva bisogno di “interdipendenza”, questo si scriveva sui giornali, questo dicevano molti leader, non solo il movimento pacifista che in quelle settimane cresceva e conquistava tanti alle sue ragioni. Quella breve stagione di consapevolezza, a mio parere, fu bruscamente interrotta, prima ancora che dalla guerra in Irak, proprio dalla decisione americana di intervenire in Afghanistan con l’obiettivo di colpire i talebani complici di Al Quaeda. Quell’obiettivo è stato raggiunto, ma il terrorismo continua, anzi colpisce sempre più diffusamente, la situazione dell’area è peggiorata e anche l’Afghanistan non è affatto pacificato. Fare la guerra è facilissimo, costruire la pace è difficilissimo. Credo che solo ricordando questi presupposti si possa guardare alla situazione con realismo e senso di responsabilità . Ma di fronte a tutto ciò, la domanda da farsi è se sia giusto un “disimpegno” italiano oggi, non cosa si sarebbe dovuto fare cinque anni fa. Se è giusto andarsene e lasciare quel popolo in balia di una nuova guerra civile o piuttosto rimanere per cercare di contribuire al rafforzamento di una democrazia che finora ha emesso solo vagiti. Il miglioramento della condizione femminile non è certo un dato acquisito e purtroppo riguarda solo una porzione piccola di quel Paese, ma verrebbe travolto in assenza di un controllo anche militare. E infatti non credo sia un caso che nei documenti che ci arrivano dalle donne afgane, il Rawa per esempio, pieni di critiche feroci relativamente ai comportamenti delle forze militari Usa, mai si chiede il ritiro delle nostre truppe. Certo la natura della missione deve cambiare radicalmente. Non solo dobbiamo uscire da quella americana Enduring Feedom che continua ad essere condotta in modo irresponsabile, ma dobbiamo adoperarci in tutte le sedi perché il mandato della missione Isaf voluta dall’Onu cui continueremo a partecipare e sulle sue regole di ingaggio sia tale da assicurare che la legittima presenza multilaterale di stabilizzazione e sicurezza rimanga tale e non si trasformi in alcun caso in operazione di guerra. E dobbiamo smetterla, come recentemente hanno richiesto tutte le Ong italiane, di confondere le operazioni di cooperazione internazionale, da sostenere e rafforzare, con quelle militari che sono tutt’altra cosa. àˆ questa confusione che ha portato le ong a rifiutare di operare contigue al Prt italiano nella provincia di Herat, mentre continuano ad essere attive in altre province. Insomma il dibattito di questi giorni si rivelerà  utile se si concluderà  non solo con l’indispensabile decisione di non abbandonare l’Afghanistan, ma se servirà  a un definitivo chiarimento circa la distinzione tra operazioni militari di guerra – vietate dalla nostra Costituzione, ma anche dal diritto internazionale – e autentiche operazione di polizia internazionale (militare e civile). E se, come chiediamo in un recente appello della Tavola della Pace, servirà  a trovare un nuovo slancio per chiedere la riforma e la democratizzazione dell’Onu, che è la vera sfida per costruire un mondo con meno guerre. Infine, in questi giorni di guerra in Libano, questo nostro “sì” alla missione si deve accompagnare ad altri tre “sì”: sì all’immediato cessate il fuoco, sì ad una forza di pace dell’Unione Europea, sì al negoziato politico con tutti.

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