Articoli usciti sul quotidiano “Europa”

L’intuito del Professore

Chi scrive non è mai stato entusiasta dell’ipotesi Roma 2020. Troppe volte abbiamo assistito a “grandi eventi” – dai Mondiali di calcio del 1990 in avanti – sbandierati come straordinarie, miracolistiche occasioni di sviluppo e che poi nella realtà  sono stati tutt’altro: sprechi spaventosi di denaro pubblico, grandi scempi ambientali, potenti volani di corruzione. D’altra parte, è pur vero che la “rinuncia” alla candidatura olimpica di Roma ha un retrogusto amaro: l’idea di un’Italia senza fiducia nel futuro. Ma ciò che qui ci preme sottolineare è il valore politico della scelta di Monti. Una scelta tutta sua. Ha ragione il direttore di “Europa”: una scelta che nessun “politico” avrebbe fatto. Sbagliando, aggiungiamo noi. In questo passaggio, infatti, l’attuale presidente del consiglio ha mostrato un intuito politico che, ahinoi, fa difetto a gran parte dei politici di professione: non tanto perché ha fatto prevalere i dubbi di cui si diceva in apertura, ma perché ha resistito alle pressioni anche mediatiche di tutti i poteri più o meno forti che per giorni lo hanno richiamato all’impopolarità  di una rinuncia e invece, noi crediamo, con la sua scelta ha saputo cogliere al meglio il “sentimento” della maggioranza dei cittadini. Una prova è nei risultati del sondaggio realizzato a caldo da “La Repubblica”: prima del no ufficiale la percentuale dei contrari a Roma olimpica (moltissimi anche romani…) era il 57%, dopo è schizzata all’85%! Autorevolezza del premier e immagine devastata di Alemanno, certo. Ma conferma soprattutto della notevolissima “politicità ” di Monti. Questa è forse la lezione più importante che dobbiamo ricavare dalla vicenda. Magari intrecciandola con gli insegnamenti che ci consegnano le primarie di Genova. Lì si è misurata con ancora più evidenza l’enorme distanza fra classe dirigente, in questo caso la “nostra”, e sensibilità  degli elettori: mentre noi rimanevamo paralizzati tra scelte personalistiche e di fazione, i cittadini e soprattutto i nostri elettori più fedeli, quelli che votano nelle primarie, pensavano a come “cambiare”, cercavano il nuovo. Come a Milano, a Cagliari, a Napoli. Sì il nuovo: spiace per tutti quelli che polemizzano contro il nuovismo, ma di questo si tratta. E della stessa voglia di cambiamento era parente stretta anche la vittoria di Renzi a Firenze. In particolare coloro che si riconoscono nel centrosinistra, questo soprattutto chiedono: cambiare, voltare pagina, andare “oltre”; oltre le vecchie tradizioni, le nomenclature, i gruppuscoli di potere. Con questa ambizione, del resto , era nato il Pd. Non l’abbiamo mai coltivata fino in fondo, molti treni sono passati senza che noi salissimo a bordo. Sarebbe paradossale che a farne motivo di successo politico fosse, prima e meglio di noi, un professore bocconiano. 

Ichino, quell’apologia di Marchionne

àˆ da tempo che nel Pd convivono opinioni diverse, anche radicalmente diverse, sul ruolo e le scelte di Sergio Marchionne. Spesso queste differenze tendono a cristallizzarsi in giudizi sommari e un po’ apodittici – Marchionne campione di riformismo o pericoloso reazionario -, mentre sarebbe utile che alle caricature si sostituisse una discussione vera, di merito, sulle strategie industriali e sindacali dell’amministratore delegato della Fiat.
Pietro Ichino, ad esempio, continua a tessere lodi sperticate della svolta impressa da Marchionne all’organizzazione del pianeta-Fiat, e ieri ha firmato sul Corriere della Sera un’ispirata, entusiastica apologia del nuovo stabilimento di Pomigliano: spazioso, luminoso, colorato, insomma una fabbrica “a misura di persona”.
Ora, non dubitiamo che la decrizione fatta da Ichino sia fedele, e del resto era difficile immaginare che una fabbrica ricostruita exnovo nel 2011 in un paese qualsiasi del nord del mondo non presentasse un aspetto più gradevole di quello che hanno stabilimenti vecchi di cinquanta o cento anni. Ma forse il rapporto tra un’azienda e i suoi lavoratori non può ridursi a questo: forse in un quadro di relazioni tra lavoratore e datore di lavoro, tra uomo e macchina che si vuole così moderno, fatica a trovare posto la decisione, su cui lo stesso Ichino esprime dubbi, di escludere dalla nuova fabbrica tutti coloro che hanno in tasca la tessera di un sindacato sgradito.
Ma ciò che a nostro avviso più di tutto manca in questi entusiasmi “marchionniani”, che non spiegano perché mai ci si dovrebbe appassionare a politiche industriali che ignorano del tutto il terreno fondamentale su cui si gioca già  oggi e si giocherà  sempre di più in futuro la competizione tra case automobilistiche: la volontà  e la capacità  di innovare, in particolare di innovare nel campo dell’impatto ambientale.
Tutti i grandi concorrenti della Fiat puntano su questo, proponendo modelli sempre piú ecologici. Dal nostro campione nazionale, invece, solo silenzio. La Fiat sembra disinteressata all’auto a metano (che pure aveva sviluppato tra i primi), ed è del tutto invisibile sull’elettrico e sull’ibrido, su cui francesi, giapponesi e tedeschi si stanno sfidando in una serrata corsa tecnologica.
A noi piacerebbe tanto che Marchionne desse risposta a un paio di domande, ci pare sensate: come può la Fiat recuperare il terreno competitivo perduto, che è tanto anche a prescindere dalla crisi, se continua a investire in innovazione, soprattutto in innovazione ecologica, molto meno dei suoi concorrenti? Se per esempio decide di utilizzare sui Suv e sulle Jeep destinati al mercato europeo motori Chrisler che consumano e inquinano molto di più dei pari gamma Mercedes, Bmw o Nissan?
Sarebbe bello se queste stesse cose gliele chiedessero i suoi tifosi: perché gli interni quasi “lussuosi” della nuova Pomigliano non bastano a sanare il vulnus inferto ai diritti sindacali, e il futuro italiano della Fiat e dei suoi lavoratori dipende da altro. 
Roberto Della Seta e Francesco Ferrante

Coste a rischio, nuove regole per le rotte

Da anni si discute dei rischi legati al passaggio delle petroliere e delle navi da crociera in tratti di mare che andrebbero tutelati e protetti. E dunque la prima lezione da trarre dalla tragedia del Giglio è proprio quella di rivedere le regole per quanto riguarda le rotte di queste enormi imbarcazioni.
Occorre subito mettere in sicurezza ecosistemi marini delicati e preziosi, e farlo ora con la tragedia della Concordia ancora negli occhi è tutto fuorchè una mossa guidata dall’emozione e dall’emergenza, perché già  adesso in quel tratto di mare stanno transitando altre navi gigantesche, con il loro carico di petrolio, affrontando persino il mare “forza 9”, come nel caso della nave cargo Venezia della Grimaldi Lines, che il mese scorso ha perso nelle acque dell’isola della Gorgona 198 fusti contenenti materiali pericolosi.
D’accordo, la manovra spericolata che più di un comandante delle navi Costa ha fatto per ricevere “l’inchino” di fronte al Giglio probabilmente non la rivedremo più, ma ciò non è sufficiente per mettere in sicurezza i luoghi più sensibili dal punto di vista ambientale, che si tratti della laguna di Venezia, delle aree protette marine o delle piccole isole.
Ogni anno infatti verso le coste italiane viaggiano ben 178 milioni di tonnellate di petrolio, quasi la metà  di tutto il greggio che arriva in direzione dei porti del Mediterraneo, crocevia delle petroliere di tutto il mondo.
Attraverso 12 raffinerie, 14 grandi porti petroliferi e 9 piattaforme di estrazione off-shore, movimenta complessivamente oltre 343 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi all’anno a cui vanno aggiunte le quantità  di petrolio e affini stoccati in 482 depositi collocati vicino al mare, che hanno una capacità  di quasi 18 milioni di metri cubi.
Nei nostri mari, al largo dell’Arcipelago Toscano in particolare, c’è un transito continuo e incontrollato di vere e proprie carrette del mare, superpetroliere insicure, a scafo singolo, in grado di distruggere ecosistemi e intere economie turistiche.
Purtroppo l’allarme per questa situazione di pericolo permanente rimane da anni, per così dire, sottotraccia, perché quasi unicamente le associazioni ambientaliste e i comuni direttamente interessati chiedono al Governo di fare la propria parte per la tutela di alcune delle aree più pregiate e delicate del Mediterraneo, come ad esempio nel caso dell’Isola d’Elba, il cui Consiglio comunale ha chiesto l’interdizione per un raggio di cinque miglia attorno alla stessa isola del traffico marittimo di petroliere, navi da carico o da trasporto passeggeri che hanno una stazza lorda superiore alle 10.000 tonnellate.
Occorre metter fine ad “abitudini” consolidate che si fondano su convenienze e interessi, e rivedere subito le scelte scellerate che il precedente governo ha fatto, perché se già  attualmente sulla prevenzione si fa veramente poco, con una flotta di pronto intervento contro l’inquinamento marino da idrocarburi di soli 40 mezzi navali, a guardia di 8 mila km di coste, con i tagli del Governo Berlusconi dal prossimo anno il programma avrà  risorse  pari a zero euro.

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