Comunicati

Italia protagonista della rivoluzione energetica

Articolo uscito su lavoce.info

In un recente editoriale sul Corriere della Sera, Alesina e Giavazzi hanno aggiunto la loro voce a quella di altri commentatori – si pensi a Mucchetti – che periodicamente denunciano il peso eccessivo sulle bollette degli incentivi destinati al sostegno delle energie rinnovabili.
Questi allarmi vanno presi sul serio: per l’autorevolezza di chi li lancia e l’eco non irrilevante di cui godono nelle forze sociali, a cominciare da Confindustria, e per il dato  incontestabile che il costo dell’energia elettrica in Italia – soprattutto per le piccole e medie imprese – è più alto che nel resto d’Europa. 
Per valutare la sostenibilità  degli attuali incentivi, occorre in primo luogo rispondere a tre domande: quanto costano davvero, a cosa servono, come si comportano in questo campo gli altri grandi Paesi europei.
Sul primo punto, vanno corrette alcune imprecisioni: non è vero che come hanno scritto Alesina e Giavazzi lItalia spenda 11 miliardi di euro all’anno per sostenere il fotovoltaico. Le norme in vigore prevedono un tetto massimo di spesa per il solare elettrico di 6,7 miliardi. Anche aggiungendo gli incentivi previsti per tutte le altre fonti rinnovabili si resta comunque sotto i 10 miliardi: cifra certamente ingente ma analoga a quella che si registra in Germania, dove con un mercato elettrico doppio del nostro l’importo totale degli incentivi è di 20 miliardi.
Cosa si è fatto in Italia con questi 10 miliardi di incentivi? Non poco. Oggi più di un chilovattora su quattro dei nostri consumi elettrici (il doppio di cinque anni fa) è “pulito”, cioè non dà  luogo a un solo grammo di emissioni inquinanti. Nel dettaglio: su 320 TWh consumati in Italia nel 2012, di cui 280 prodotti a casa nostra, 18,3 sono venuti dal fotovoltaico, 13,1 dall’eolico, 43,5 dall’idroelettrico, 5,2 dal geotermico, circa 10 dalle biomasse. Un risultato prezioso per la salute dei cittadini, e un passo importante per centrare quei traguardi 30% di rinnovabili elettriche e 17% di rinnovabili sull’energia totale entro il 2020 – per i quali ci siamo impegnati anche in sede europea.
Un altro argomento che spesso si ascolta contro gli incentivi è che avrebbero spianato la strada agli “stranieri”, in particolare ai cinesi che producono pannelli a basso costo. Accusa curiosa, visto che lalternativa alle rinnovabili sono il petrolio e il gas che importiamo quasi per intero. E accusa in parte infondata:  in un impianto fotovoltaico il costo del pannello incide per il 30% , tutto il resto è italiano. Per esempio è italianissima la sofisticata tecnologia racchiusa negli inverter, e guarda caso sono italiani pure gli inverter utilizzati nel più grande impianto fotovoltaico cinese (toscani) e nella centrale solare più grande del mondo che si sta realizzando negli Usa (emiliani).
Questa la situazione a oggi. Si sarebbe potuto fare meglio? Sicuramente sì. Chi scrive ha tentato inutilmente di convincere prima Berlusconi-Romani e poi Monti-Passera che per tenere sotto controllo gli incentivi bisognava imitare l’esempio tedesco: procedure più semplici e un sistema che riduca automaticamente il contributo via via che migliorano le tecnologie e dunque si abbassano i costi. Si è scelta una strada quasi opposta fatta di tetti rigidi che inevitabilmente hanno favorito qualche furbo di troppo e di appesantimenti burocratici – le aste, i registri – che stanno togliendo ossigeno a uno dei pochi comparti industriali in crescita malgrado la crisi.
Se si vuole un sistema energetico più moderno e meno oneroso è urgente rimediare a questi errori, come lo è agire su altri fronti ugualmente sensibili: efficienza energetica, più spinta alle rinnovabili termiche, adeguare la rete elettrica, promuovere lautoconsumo nelle grandi utenze, proseguire nella liberalizzazione del mercato del gas. Inoltre non sarebbe male risparmiare su altri incentivi, questi sì decisamente impropri: i 500 milioni regalati ogni anno allautotrasporto, campione di inefficienza energetica, o il miliardo e mezzo destinato alle imprese energivore, che infatti pagano lenergia meno di tutti i loro concorrenti europei.
Insomma, lItalia deve decidere se restare spettatrice della rivoluzione energetica in atto nel mondo o diventarne, come potrebbe, protagonista e farne unarma contro il declino. La scelta non è più rinviabile e dipenderà  molto da una decisa e globale messa a punto delle scelte, di quantità  e di qualità , in materia di incentivi.

Roberto Della Seta e Francesco Ferrante
Senatori uscenti

P.S. Piccola nota finale. Scrivono Alesina e Giavazzi che “si è favorita una tecnologia che a distanza di pochi anni è già  vecchia. Oggi l’energia solare si può catturare semplicemente usando una pittura sul tetto, con costi e impatto ambientale molto minori”.  Basta documentarsi un po’ per sapere che per molti anni si continueranno a installare pannelli fotovoltaici. Le “pitture” sono soluzioni ancora largamente sperimentali, per il momento fuori mercato a causa dei costi troppo elevati e per problemi irrisolti di impatto ambientale.
 

Agricoltura, meno aiuti dall’Europa. Ma occhio alla qualità 

Il dibattito che si è acceso sugli esiti dell’ultimo vertice europeo sul bilancio della Comunità  offre l’occasione per una riflessione che vada oltre quella più ovvia sulla “quantità ” e che approfondisca il tema della “qualità ” della spesa pubblica anche a livello europeo. Intendiamoci, è sacrosanto criticare la contrazione del bilancio voluta e ottenuta dalla destra (e dai paesi del nord) che ridurrà  la possibilità  di intervento su assi invece fondamentali per lo sviluppo, quali la ricerca, l’innovazione, la formazione, il riequilibrio delle disuguaglianze. Ma così come macroscopicamente evidente nel nostro Paese, per sprechi e diseconomie, anche a Bruxelles intervenendo sui singoli capitoli di bilancio e razionalizzando le spese si potrebbero ottenere ampi miglioramenti nella qualità  dell’intervento pubblico.

L’esempio più evidente è chiaramente quello della politica agricola che assorbe da sempre circa il 50% dell’intero bilancio comunitario e per la quale si sta discutendo la riforma per il periodo 2014-2020 proprio in queste settimane. In un recente intervento su Repubblica, Carlo Petrini denunciava il pericolo che “la speranza di un’agricoltura europea più attenta all’ambiente e quindi giusta, tanto per chi paga le tasse quanto per chi produce in maniera sostenibile,” avesse subito una  grave frenata per il voto della Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento Europeo che, a suo parere, minacciava di depotenziare le seppur timide prospettiva di riforma contenute nella proposta originaria della Commissione Europea. E’ difficile dar torto a Petrini quando segnala le storture della vecchia PAC che hanno sostenuto “un sistema produttivo per cui alla fina si paga due volte. Con le sovvenzioni, ma anche poi per aggiustare i suoi danni, dalla salute alla sicurezza dei territori, dalla qualità  di acqua, aria e terreni a quella del cibo”. Si tratterebbe adesso di portare invece a compimento quello che a parole si dice che si vorrebbe fare da anni: valorizzare la funzione “multifunzionale” dell’agricoltura, la sua capacità  di produrre cibo buono, prodotti tipici (specie nel nostro Paese) che sono parte essenziale delle economie e delle stesse identità  dei territori, ma anche quella di “fare paesaggio” e di essere la prima difesa dal dissesto idrogeologico, senza trascurare il suo, potenzialmente grandissimo, ruolo nella lotta contro i cambiamenti climatici. Come fare? Premiando le buone pratiche agricole, a partire ovviamente dal biologico, e uscendo dalla logica per cui la Pac sino adesso ha premiato le aziende più vaste, e non le pratiche sostenibili, le rotazioni delle colture, le funzioni ecologiche dell’agricoltura. Con quali risorse? E qui si può persino accettare il veto a qualsiasi ipotesi di aumento della spesa complessiva se si sceglie una “qualità ” diversa della stessa. In questo caso piuttosto semplice: se si mettesse un tetto alle sovvenzioni per singole aziende si coglierebbero al contempo due obiettivi: eliminazione di quelle storture, di cui gli 8 milioni di euro l’anno alla Regina Elisabetta per le sue farms sono solo l’esempio più noto, e si potrebbero recuperare risorse preziose per il “secondo pilastro” , quello appunto destinato a sostenere il ruolo multifunzionale della nostra agricoltura, quello del futuro. Se si mettesse un tetto a 100mila euro l’anno si recupererebbero a livello europeo circa 6,5 milardi l’anno sui 40 totali delle sovvenzioni, in Italia 800milioni l’anno , circa il 20% del totale che oggi si godono 300 grandi aziende su oltre 1 milione di agricoltori. Ecco una sfida per i nostri parlamentari a Bruxelles che ne discuteranno nella sessione di metà  marzo, e anche per il nostro prossimo Governo se vorrà  avere un profilo di riformismo radicale anche in Europa.

 

Francesco Ferrante

Carceri: anche a Padova situazione critica di sovraffollamento

900 detenuti in una struttura da 350 posti: rischia di limitare le pur virtuose iniziative di rieducazione 
 
Il Senatore Francesco Ferrante  del PD ha effettuato  oggi  nell’ambito dell’impegno parlamentare, una visita ispettiva nel Carcere di Padova  di via Due Palazzi, verificando che anche in un carcere in cui pur si svolgono progetti avanzati , esistono situazioni molto difficili.
“Nel carcere di Padova – dichiara Ferrante-  si sono sviluppati importanti progetti come per esempio  “Ristretti orizzonti”  che è riuscito ad organizzare le visite di oltre 6.000 ragazzi delle scuole superiori nel corso del 2012, un esperienza fondamentale di rapporto con il territorio e  che ha permesso a molti detenuti di intraprendere un vero e proprio percorso rieducativo.”
“Ma nonostante queste attività ,   – prosegue il Senatore -anche in questo carcere si soffre del sovraffollamento: vi sono circa  900 detenuti in una struttura costruita per ospitarne  350 e quindi anche un’esperienza molto nota, come quella del lavoro in carcere, coinvolge una percentuale piuttosto bassa di detenuti,  che devono vivere molto spesso in tre persone in una cella sufficiente per uno solo.”
La visita, che fa seguito alle precedenti già  effettuate dal Senatore Ferrante nelle carceri di Caserta e Catanzaro, è stata organizzata con l’”Associazione comunità  Giovanni XXIII”

Fondata da Don Oreste Benzi nel 1973 opera nell’ambito dell’emarginazione e della povertà , nello specifico con il “Servizio Carcere” promuove e sostiene percorsi rieducativi alternativi al carcere, per offrire ai detenuti la possibilità  di cambiare stile di vita e smettere di delinquere.

 

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