Fassina, campione della sinistra tutta “chiacchiere e distintivo”

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Il difetto principale della battuta di Matteo Renzi sul viceministro (ex?) dell’economia Stefano Fassina non è nello stile troppo scanzonato, nella mancanza di considerazione verso un dirigente dello stesso partito di cui Renzi è segretario. No, il “Fassina chi?” del sindaco di Firenze lascia l’amaro in bocca per una ragione assai più seria e grave: per i suoi effetti pratici, cioè per avere ingigantito la figura del medesimo Fassina, assurto in molti commenti a leader in pectore della sinistra “pura” e da qualcuno (Francesco Merlo) paragonato niente di meno che a Berlinguer. Allora, può essere utile prendere sul serio la domanda retorica di Renzi – “Fassina chi?” – e provare a rispondere.

 

Stefano Fassina è stato per otto mesi la voce più influente del Pd nel governo per quanto riguarda le politiche economiche. Bene, cosa ha fatto per dare corpo e seguito alle sue abbondantissime parole sulla centralità  del lavoro, sulla priorità  assoluta di interventi “keynesiani” per accelerare tempi e dimensioni della ripresa economica? Ha fatto nulla: nulla per dare qualche risposta concreta a milioni di lavoratori precari o “atipici” esclusi da tutte le tutele e garanzie – dall’articolo 18 alla cassa integrazione -, nulla per orientare le poche risorse pubbliche disponibili per il sostegno ai consumi interni e alla ripresa nelle direzioni – ricerca e sviluppo, green economy, manutenzione del territorio… – più urgenti per i problemi attuali e gli interessi futuri dell’Italia.

 

Fassina già  una volta aveva minacciato le dimissioni, rivendicando più ruolo nella definizione della Legge di stabilità : allora Letta gli diede soddisfazione, quanto alla Legge di stabilità  il testo partorito dall’attiva complicità  tra governo e maggioranza parlamentare segna il trionfo, tra una “marchetta” e l’altra, di quel nulla che dicevamo. Qualche esempio? Poche decine di milioni di euro per la difesa del suolo – in un Paese come il nostro martoriato quasi ogni mese da alluvioni e frane – o per introdurre forme embrionali di reddito minimo di cittadinanza, e invece svariati miliardi per finanziare “imprese” improbabili dall’acquisto di una ricca flotta di cacciabombardieri F35 alla costruzione dell’inutile e costosissimo megatunnel in Val di Susa.

 

La verità  è che Stefano Fassina è l’epigono, relativamente giovane e indubbiamente agguerrito, della sinistra tutta “chiacchiere e distintivo” che abbiamo visto all’opera negli ultimi trent’anni: radicalissima a parole (nessuno più di Fassina strilla contro il “neoliberismo” o contro l’Europa dei banchieri), ultra-conservatrice nei fatti, nei comportamenti. Una sinistra che parla continuamente di nuovo modello di sviluppo e però sull’Ilva ha sempre preferito sedersi alla tavola imbandita dei Riva che impegnarsi per costringere i medesimi Riva a usare un po’ dei loro immensi profitti per risanare e bonificare quella fabbrica dei veleni; una sinistra, ancora, che con l’ineffabile ministro Zanonato ritiene più strategico, sul piano delle politiche per il lavoro e lo sviluppo, impegnare un miliardo per una superassistita centrale a carbone nel Sulcis (così nell’ultimo decreto “Destinazione Italia”, il conto lo pagherebbero gli italiani con le bollette elettriche) piuttosto che stabilizzare il credito d’imposta per chi migliora il rendimento energetico della propria abitazione, misura che in questi anni ha consentito la creazione di decine di migliaia di posti di lavoro.

 

Fassina tutto “chiacchiere e distintivo” ora il distintivo, pare, l’ha riconsegnato. Più complicato, come si capisce leggendo la sua intervista post-dimissioni al Corriere della Sera (in cui senza pudore rivendica di avere trovato 30 milioni, diconsi 30 milioni, per interventi contro il dissesto idrogeologico), sarà  per lui e per i “sinistri puri” come lui rinunciare alle chiacchiere e sperimentarsi sui fatti.

ROBERTO DELLA SETA

FRANCESCO FERRANTE

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