Matteo Renzi dalle trivelle alla Cop21

pubblicato su huffingtonpost.it

Non era a suo agio Matteo Renzi intervenendo all’apertura della Cop 21, la conferenza dell’Onu sul clima in corso a Parigi. Non era a suo agio, e si capisce. Non padroneggia l’argomento, e da quando è presidente del Consiglio, l’ambiente non ha mai avuto posto nel suo discorso pubblico, tanto meno nelle sue politiche.Così, si è un po’ arrampicato sugli specchi. Ha detto, ed è vero, che l’Italia dal 1990 ha ridotto le sue emissioni di gas serra ma ha fatto confusione sui numeri – la riduzione è stata del 16% e non del 23% -; poi con scelta discutibile pure sul piano della forma (nessun altro leader europeo o americano si sarebbe sognato di fare pubblicità a singole imprese da quel palco!) ha citato tra i benemeriti di questo risultato l’Eni che invece in perfetta continuità tra Scaroni e Descalzi è sempre stata, anche comprensibilmente visto il suo core business, tra i principali oppositori di politiche energetiche orientate a diminuire la nostra dipendenza dai combustibili fossili, che sono la prima causa del riscaldamento globale.

No, questo governo non ha davvero i titoli per dare lezioni sulla lotta ai cambiamenti climatici. L’Italia, lo ripetiamo, non solo per effetto della crisi economica ma anche grazie a decisioni lungimiranti prese in passato – gli incentivi per lo sviluppo delle energie pulite, l’ecobonus fiscale alle famiglie che ristrutturano le proprie abitazioni per migliorarne l’efficienza energetica – ha visto calare le emissioni di anidride carbonica e degli altri gas serra. Ma per dirla in “politichese”, Renzi e i suoi ministri, con in testa la ministra Guidi, hanno “remato contro” questo trend incoraggiante: varando norme penalizzanti per i produttori di energie rinnovabili, che hanno messo in ginocchio un settore industriale che per anni e malgrado la recessione era cresciuto molto in fatturato, posti di lavoro, competitività, e poi lanciando un improbabile piano nazionale di trivellazioni petrolifere a terra e in mare fuori tempo e fuori luogo, tanto dannoso per l’ambiente e il paesaggio quanto inutile economicamente (nel nostro sottosuolo e sotto i nostri fondali marini c’è poco petrolio e di scarsa qualità).

Anche sul piano della visione geopolitica, il Matteo Renzi ascoltato alla Cop 21 era spento e impacciato. Retorica di rito su quanto è importante stabilizzare il clima per salvaguardare le generazioni future, nulla sul fatto che l’obiettivo di fermare il “global warming” è decisivo soprattutto “qui ed ora” e ha molto a che fare con le drammatiche emergenze – terrorismo, immigrazione, declino economico – che assediano l’Europa. Riconvertire rapidamente i nostri sistemi energetici dai fossili e dallo spreco alle rinnovabili e all’efficienza non solo, infatti, è l’unico modo per impedire che i cambiamenti climatici superino la soglia critica dei +2 gradi centigradi, ma serve a molto altro: a tagliare le gambe all’economia del terrore fondata sul petrolio che dà alimento a Daesh come ad Al Qaeda, ad impedire che da oggi a qualche anno altri milioni di profughi – in questo caso profughi “climatici” – si riversino dall’Africa verso la sponda nord del Mediterraneo, a dare all’Europa la leadership industriale e tecnologica nei campi collegati alla nuova energia.

Insomma: Matteo Renzi ancora non se n’è accorto, ma la sua insistenza talvolta quasi ossessiva sulla necessità per noi italiani ed europei di ritrovare fiducia nel futuro, avrebbe tutto da guadagnare dalla consapevolezza che battersi sul fronte del clima, e in generale su quello della conversione ecologica dell’economia, non è solo giusto, ma anche molto, molto conveniente. Difficile che questa fugace visita a Parigi basti a illuminarlo, ma noi continuiamo a sperare.

ROBERTO DELLA SETA

FRANCESCO FERRANTE

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