Un ricordo di Cernobyl

pubblicato su La Nuova Ecologia

26 aprile 2006. Chernobyl vent’anni dopo, io ero lì con una delegazione di Legambiente a manifestare davanti al sarcofago per chiedere che si intervenisse per metterlo in sicurezza, per verificare (con sgomento) la situazione di contaminazione che ancora subivano i villaggi e l’intero territorio circostante.
Oggi, dieci anni dopo, voglio partire da quella data per ricordare Cernobyl, perché l’incidente è del 1986, ma la peculiarità del disastro di Cernobyl, come poi un quarto di secolo dopo Fukushima, è proprio il prolungarsi dei suoi effetti.
Innanzitutto quelli drammatici connessi a un incidente nucleare, che lo rendono diverso da un qualsiasi altro, pur rilevante, incidente industriale: ancora oggi i frutti della terra nelle zone contaminate sarebbero vietati perché appunto pericolosi e la gente li coltiva e li consuma a proprio rischio e pericolo, i danni alla salute sono continuati a lungo e non si sono certo limitati a uccidere coloro che furono investiti dalle radiazioni nelle ore immediatamente successive all’incidente a partire dagli eroici operatori che intervennero sulla centrale. La stessa cosa che sta avvenendo a Fukushima, come documentano i report internazionali diffusi recentemente in occasione di quell’altro triste anniversario.
Ma insieme a quelle drammatiche conseguenze, ancora oggi presenti, da Cernobyl sono nate e durano tuttora iniziative di solidarietà in ogni parte del mondo – in queste pagine anche il racconto bellissimo Progetto Rugiada di Legambiente – altrettanto durature. Come se l’umanità trovasse in sé le risorse per combattere, senza arrendersi, i danni che un uso avventato e imprudente delle tecnologie hanno causato.
E poi gli effetti politici: la ribellione che nel nostro Paese portò al primo referendum no nuke con la stragrande maggioranza dei cittadini che fermò quell’avventura. E anche qui non si può non osservare la straordinaria analogia con Fukushima, con il secondo referendum antinucleare in Italia, e il phasing out da quella tecnologia obsoleta che altri Paesi a partire dalla Germania decisero dopo il 2011.
Insomma Cernobyl è un tragedia che ha devastato quel territorio, ma è anche un turning point della Storia, non solo energetica. Da lì hanno preso vigore le battaglie per cambiare il modello di produzione dell’energia, puntando su rinnovabili ed efficienza che, grazie anche ai progressi dell’innovazione tecnologica, stanno finalmente facendo affermare un modello di economia circolare, low carbon o addirittura fossil free, fondato sulla generazione diffusa.
Ricordo gli argomenti dei nuclearisti dopo l’aprile 1986 fino al primo referendum (identici peraltro a quelli che riproposero 25 anni dopo e ugualmente sconfitti dalla saggezza dei cittadini): “volete tornare alle candele”. Sciocchezza che non solo non è successa (ovviamente) ma che la storia ha dimostrato essere davvero infondata e quella davvero sì contro il futuro.
Al contrario oggi chi ha scelto il nucleare si trova un fardello, non solo per il problema ambientale, anche economico difficile da “smaltire”. E l’Italia deve essere grata ai Radicali che proposero il referendum del 1987 e ai movimenti che promossro quello di cinque anni fa, e agli ambientalisti protagonisti di entrambe quelle vittorie per avere risparmiato al Paese un avventura pericolosa e all’Enel un bagno di sangue anche dal punto di vista economico.
Oggi, c’è infine una coincidenza temporale che deve farci riflettere: a pochi giorni dal trentesimo anniversario di Cernobyl, si terrà nel nostro Paese un altro referendum sulle scelte di politica energetica. Si sta facendo di tutto per non parlarne e non cogliendo così l’occasione di riparlare di strategie energetiche. Non c’è niente da fare la classe dirigente di questo Paese non sembra avere imparato la lezione, ma oggi come allora votare Sì per dire no alle trivelle significa indicare una strada utile, conveniente oltre che pulita per il futuro.
Francesco Ferrante

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