Intanto l’Italia sceglie il carbone

Come è normale per negoziati così complessi e delicati, le ultime ore della Conferenza sul clima sono quelle in cui tutto si decide e molto può cambiare da un’ora all’altra. A Copenhagen si è passati dal pessimismo della notte di mercoledì, quando sembrava che la Cina avesse seppellito ogni possibilità  d’accordo, alla speranza di ieri pomeriggio, dopo l’intervento positivo e determinato di Hilary Clinton e la parziale marcia indietro degli stessi cinesi che hanno sparso una ventata di ottimismo sui delegati superstiti nelle sale semi-deserte del Bella Center. Fuori dalla porta sono stati lasciati tutti quelli delle Ong, migliaia di persone, soprattutto giovani, venuti a Copenhagen a proprie spese: una pagina vergognosa nella storia delle Nazioni Unite, mai vista prima.
Tra il fallimento e il successo pieno della Conferenza vi è un’ampia scala di grigi che si potranno valutare solo alla fine. E se è certo che molto si gioca sui soldi che i ricchi sono disposti a mettere sul piatto per aiutare i Paesi poveri a svilupparsi usando tecnologie e modelli produttivi a basso impatto sul clima – ad esempio i 100 miliardi di dollari di cui ha parlato la Clinton -, la “tirchieria” del governo italiano condanna il nostro Paese alla marginalità . Del resto che credibilità  può avere a Copenhagen  l’Italia, che mentre qui l’Europa è sul punto di impegnarsi a tagliare del 30% le proprie emissioni climalteranti, continua a muoversi, per dirla con De André, “in direzione ostinata e contraria”? Ieri il Consiglio dei Ministri ha approvato un ulteriore stanziamento di 330 milioni di euro per un’opera inutile, costosa e anti-ecologica come il Ponte sullo Stretto: 330 milioni, più di quanto abbiamo messo a disposizione per l’ecosviluppo dei Paesi poveri! E se non bastasse, il Ministero sta per approvare, come denunciato da Legambiente – la realizzazione di un’ennesima megacentrale a carbone a Saline Joniche in Calabra. Altro carbone dopo quello delle centrali di Civitavecchia e di Porto Tolle: altro carbone, tra tutte le fonti fossili la più dannosa per il clima. Proprio le centrali a carbone, del resto, sono il settore dove si concentrano i maggiori sforamenti italiani rispetto agli obiettivi del Protocollo di Kyoto. Al contrario di ciò che dice Confindustria, le nostre imprese manifatturiere non hanno nulla da temere da Kyoto e dal trattato post-Kyoto perché grazie agli investimenti in efficienza energetica già  stanno riducendo le loro emissioni. Il ritardo italiano dipende quasi tutto dall’aumento dell’uso del carbone per produrre elettricità .
Insomma l’Italia va a carbone, resta ferma all’età  giurassica dell’energia. E intanto il mondo si allontana. 
 

ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE

Ahmadinejad e Scajola quasi gemelli

“Il dubbio ci tormentava da tempo, oggi e’ diventato una certezza: dopo avere ascoltato l’intervento alla Conferenza di Copenhagen del presidente iraniano sul ‘diritto’ del suo Paese al nucleare, abbiamo avuto la prova definitiva che Ahmadinejad e il nostro ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola, anche lui un fanatico dell’energia dell’atomo, sono ‘separati alla nascita’: entrambi sono fissati con le centrali nucleari, entrambi pensano che siano simbolo di progresso e di indipendenza nazionale. Per fortuna sono tra i pochi a pensarlo, la gran parte dei leader politici considera un pericolo il nucleare iraniano e una sciocchezza il nucleare civile come risposta al problema dei cambiamenti climatici”.

Ong espulse dalla Conferenza di Copenhagen, è il fallimento dell’onu e della politica

“Da oggi, dunque nelle ore decisive per l’esito della Conferenza di Copenhagen, le Ong sono state di fatto espulse dalla sede del vertice: appuntamenti previsti da mesi sono stati cancellati, migliaia di persone arrivate nella capitale danese a proprie spese non hanno potuto partecipare ai lavori delle decine di ‘side-events’ in programma. Questo fatto gravissimo è la negazione dei presupposti stessi dell’Onu e delle sue conferenze, e segna il fallimento della politica. Che speranze possono esserci di fermare i cambiamenti climatici, se i potenti del mondo vedono l’opinione pubblica e chi la rappresenta come un fastidio o peggio come un avversario?”. Da Copenhagen, i senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante commentano così l’ulteriore stretta negli accessi alla Conferenza sul clima: “Mentre la polizia danese – affermano i due parlamentari ecodem – tratta da black-block migliaia di pacifici ragazzi venuti qui per seguire da vicino i negoziati sul global warming, oggi il centro congressi che ospita il summit è trasformato in un fortino, il che dà  una rappresentazione quasi plastica all’estraneità  dei decisori politici rispetto ai cittadini. Naturalmente, noi auspichiamo che l’arrivo dei leader mondiali a Copenaghen scongiuri il rischio di un nulla di fatto, ma in ogni caso resterà  la pessima prova offerta al mondo, e in particolare a tanti giovani presenti a Copenaghen, da quelle che dovrebbero essere, non  solo chiamarsi, ‘nazioni unite’”.

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