L’ambientalista collettivo trattegiato da Chicco Testa non esiste

pubblicato su huffingtonpost.it

L’ambiente è un affare troppo importante per lasciarlo in mano agli ambientalisti. Parafrasando il celebre aforisma di Georges Clemenceau (“la guerra è un problema serio, meglio che non se ne occupino i militari”) e sintetizzando al massimo, è questa l’idea che corre lungo tutto l’ultimo libro di Chicco Testa, “Elogio della crescita felice. Contro l’integralismo ecologico” (Marsilio).

Testa non nega l’urgenza dei problemi ambientali, a cominciare dalla crisi climatica. Anche se sul tema del riscaldamento globale tende a condire il suo “sì, il problema esiste” con dubbi e minimizzazioni: le previsioni dei climatologi “non sono una scienza esatta”, col dissenso degli scienziati negazionisti ci si deve confrontare, la narrazione dei pericoli della crisi climatica “va ben oltre gli effetti pratici negativi che si verificano”… Insomma, si colloca in una sorta i “terra di mezzo” tra il negazionismo climatico tout-court e l’allarme, ormai largamente documentato dalla scienza, di chi ritiene che fermare il global warming sia una priorità assoluta per l’umanità e che per farlo occorra prima di tutto azzerare entro pochi decenni il ricorso all’energia fossile.

Ma il cuore del libro di Chicco Testa è altrove : è in un attacco frontale al modo in cui rappresenta e propone di affrontare i problemi ambientali quello che lui chiama “l’ambientalista collettivo”: cioè il flusso continuo e crescente di luoghi comuni e amenità varie, trasmessi e ripetuti ossessivamente sui media tradizionali e ancora di più sui social, impregnati – così scrive – “di un insieme di manifestazioni, credenze, comportamenti, emozioni, facile informazione, esagerazioni, stereotipi culturali e spesso fake-news mai verificate”. Esempi? La plastica va eliminata, il nucleare è cattivo, l’Ilva va chiusa e via scivolando fino a idee generali ancora più balzane come la “decrescita felice” che rovesciata dà il titolo al saggio.

Al fondo dell’ambientalista collettivo, del quale spesso per Chicco Testa si fanno interpreti anche le principali associazioni ecologiste, vi sarebbe la convinzione che nel passato, quando non c’erano l’industria e i consumi di massa e si era tutti più poveri, si vivesse meglio, che il mondo stia viaggiando spedito verso la catastrofe ecologica e che l’unica via per scongiurarla  sia tornare al “bel mondo antico” senza fabbriche, automobili e altre diavolerie tecnologiche. Naturalmente per Testa è vero il contrario: il progresso scientifico, economico, tecnologico è l’unica arma efficace non solo contro la povertà, ma contro la crisi climatica e l’inquinamento.

Questa condanna inappellabile dell’ambientalista collettivo mescola gli argomenti più disparati. Da una parte Chicco Testa attribuisce all’ambientalista collettivo anche posizioni che di integralista non hanno nulla: per esempio sul nucleare l’integralista e l’antimoderno è lui, che continua a difendere un’opzione industriale in declino in tutto il mondo per la sua intrinseca insicurezza e per i suoi costi fuori mercato. Dall’altra – su questo Testa ha ragione – è innegabile che una parte del movimento ecologista, ancora di più del “senso comune” ecologista, guardi con sospetto e diffidenza alla tecnologia e persino alla scienza, o che dia credito all’immagine di una natura pacifica e buona invasa e maltrattata da noi umani violenti e cattivi. Invece la natura non è buona, anzi è totalmente amorale come drammaticamente dimostra l’emergenza sanitaria di questi mesi legata alle scorribande di una “cosa”, il Covid-19, che come per tutte le epidemie della storia è inequivocabilmente “naturale”. Soprattutto la natura se ne infischia dell’uomo: la crisi climatica per esempio è un grande problema per noi, non per il pianeta che ha vissuto sconvolgimenti del clima incomparabilmente più radicali di quello attuale. Testa ha ragione anche nel fastidio per l’ambientalismo “new-age”, spesso decisamente stupido: racconta “ecodrammi” che non esistono, tipo i gruppi e comitati che ce l’hanno con l’elettromagnetismo e il 5g o magari con i vaccini. Troppi ecologisti rispetto ai veri problemi ambientali sono parte del problema e non della soluzione: è il caso delle diffusissime opposizioni che in nome dell’ambiente contrastano progetti e opere – i parchi eolici al largo delle coste adriatiche che nessuno da terra vedrebbe mai, gli impianti del tutto innocui per ricavare energia pulita dal biometano ottenuto dalla frazione umida dei rifiuti, lo stesso 5g utilissimo a smaterializzare l’economia reale – indispensabili proprio per migliorare l’ambiente.

Ma il punto vero è che l’ambientalista collettivo tratteggiato da Testa non esiste. O meglio è una caricatura, e come ogni caricatura ricorda l’originale ma non lo racconta, non lo rappresenta. Testa dovrebbe saperlo, visto che il movimento ecologista l’ha frequentato a lungo. Il vero ambientalista collettivo è anche quello grazie al quale l’Italia ricicla il 75% dei rifiuti che produce (in virtù di una legge voluta da un ministro ambientalista, Edo Ronchi), protegge con parchi e riserve più del 10% del suo territorio (in virtù di una legge voluta da parlamentari ambientalisti, tra cui Testa). Senza ambientalista collettivo non si sarebbe mai diffusa una consapevolezza larga dei problemi ambientali, senza ambientalista collettivo non si sarebbe mai affermata – nell’opinione pubblica e tra gli stessi decisori politici – l’urgenza di fronteggiare la crisi climatica : la cura, certo, è una faccenda più complicata, ma per dire è impossibile curare il morbillo se non si fa prima la diagnosi.

Sostiene Testa che dell’ambientalista collettivo fanno parte da protagonisti papa Francesco e Greta Thunberg. Il primo avrebbe messo in campo “un cattivo trattato di cosmologia”, più pagano che cristiano, rappresentando la natura come dotata di un’anima. In realtà papa Bergoglio ha compiuto un passo assai più rivoluzionario di quello contestatogli da Testa: ha messo fine all’idea – totalmente antiscientifica, per secoli alla base della teologia cristiana e tuttora accarezzata dalle correnti ultrareligiose neo-creazioniste – che l’uomo sia un’altra cosa dalla natura e dunque della natura possa infischiarsene. Un razionalista e scientista come Testa dovrebbe celebrarlo, non condannarlo!

Quanto a Greta, intanto va notato che il disprezzo verso la fondatrice dei Fridays for future è paradossalmente lo stesso ostentato da tanti ambientalisti paludati, irritati per il fatto che questi “ragazzini” ricevano più attenzione e ascolto di quanta ne abbiamo avuti noi “vecchi” che l’ecologia la studiamo da decenni.  Sono ignoranti? Alcuni forse sì. Sono velleitari? E’ probabile. Ma lo sono esattamente come lo sono – e aggiungiamo: non possono non esserlo – tutte le ondate di incazzatura giovanile. Questi però hanno una virtù speciale e modernissima, che invece  non avevano i movimenti giovanili dei nostri vent’anni: sono pratici. Non si preoccupano dell’isola che non c’è, dell’utopia grandiosa e lontana, ma di domani. I loro principali argomenti contro gli adulti sono il buonsenso e l’egoismo. Non sono ambientalisti, non urlano per proteggere l’ambiente ma per proteggere se stessi, hanno capito – e in qualche misura stanno riuscendo a far capire a molti – che la crisi climatica non è un problema ambientale ma squisitamente umano.

L’equivoco di fondo nel quale cade Chicco Testa è di considerare l’ecologismo come un pensiero sostanzialmente reazionario o comunque antimoderno. E’ invece un frutto della modernità, di suoi paradigmi fondanti come la scienza della complessità o come l’approccio sistemico che collega tra loro scienze naturali e scienze umane. Ancora, l’ambientalista collettivo è stato un formidabile motore di innovazione tecnologica: le energie rinnovabili, la plastica vegetale, l’auto elettrica, sono sue figlie legittime.

Questo significa che nel movimento ecologista non abitino tentazioni regressive, antiscientifiche? Certamente no, ce ne sono per il fatto banale che il pensiero ecologico mette in questione l’idea stessa di progresso come ereditata dall’Otto/Novecento e dunque si presta ad essere declinato come rifiuto non della visione tradizionale di cosa sia progresso, ma del concetto stesso di progresso. E però con i suoi limiti, le sue zone grigie, i suoi lati oscuri, l’ambientalismo è oggi una delle poche idee attuali darwinianamente progressista: segna cioè un passo in più nell’evoluzione culturale dell’homo sapiens, avvicinandolo a un’idea di benessere e di progresso più ampia e lungimirante, molto più efficace anche sul piano del nostro (fisiologico come per tutti gli animali) egoismo di specie, e allargandone l’attenzione morale dagli “ultimi” contemporanei (specialità meritoria del progressismo socialista) alle future generazioni e agli altri biologicamente da noi. Così, ha un segno indiscutibilmente progressivo il suo bilancio dopo sessanta/settant’anni di cammino: per merito di tanti ecologisti sia collettivi – associazioni, gruppi informali… – che individuali, tra questi persino Chicco Testa che quarant’anni guidò per primo Legambiente.

ROBERTO DELLA SETA

FRANCESCO FERRANTE

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