“Aiutiamoli a casa loro” significa nei lager libici?

pubblicato su huffingtonpost.it

La contabilità degli arrivi di migranti dal Nord Africa dice che le cose vanno benissimo: a luglio -52,5% rispetto al luglio 2016, nei primi giorni di agosto -76% sullo stesso periodo dell’anno scorso. Insomma, la strategia del ministro Minniti, basata sul codice di regole restrittive per le Ong che effettuano salvataggi in mare e sugli accordi con i poteri libici perché trattengano i migranti in fuga, sembra funzionare alla grande.

Certo, come già avvenuto per l’intesa stretta mesi fa dall’Europa con la Turchia per chiudere la rotta migratoria da Siria e Iraq verso i Balcani, è bene non farsi troppe domande su ciò che accade nel “retropalco”, in questo caso in terra libica. Perché ciò che accade è un’autentica schifezza, è la negazione sistematica di ogni principio umanitario. Accade, come raccontano le duemila testimonianze raccolte da Medici per i Diritti Umani (Medu) e come denunciato dall’inviato Unhcr per il Mediterraneo Vincent Cochetel, che i migranti trattenuti finiscono in lager come quello di Sabha, una fortezza nel deserto nel sud est della Libia circondata da filo spinato e miliziani armati di mitragliatrici lungo tutto il perimetro, dove subiscono privazioni e atrocità di ogni genere. A confermare che la Libia si sta trasformando – meglio sta tornando ad essere come già ai tempi di Gheddafi – un immenso campo di concentramento per migranti in fuga dai loro paesi, è stato nei giorni scorsi il viceministro degli esteri Mario Giro: “I migranti – ha detto Giro, una vita di impegno per l’Africa con la Comunità di Sant’Egidio – finiscono in centri di detenzione nelle mani delle milizie, che ne approfittano per fare i loro commerci; questa politica non raggiunge nemmeno l’obiettivo di alleggerire la situazione, c’è molta gente che vive su questi traffici”.

Viene da dire, amaramente, che ora si capisce meglio il senso dell’auspicio renziano “Aiutiamoli a casa loro”. Per un momento avevamo creduto che il leader Pd si limitasse a ripetere una abusata banalità: l’unico modo efficace per evitare che folle di africane e africani cerchino sicurezza e spesso trovino la morte avventurandosi nel Mediterraneo per raggiungere l’Europa, è che l’Africa diventi un continente senza più miseria né guerre. Verità impossibile da negare ma ardita da sostenere per chi governando l’Italia da anni ha mantenuto a livelli infimi i fondi per gli aiuti allo sviluppo (0,26% del Pil contro lo 0,51% della media europea) e fatto crescere l’export di armi verso l’Africa; e verità che lascia il tempo che trova quando si tratta di dare soccorso qui ed ora a migliaia di migranti in fuga dai loro attuali inferni.

Ma no, l’invocazione di Renzi era molto più concreta, e il ministro degli interni Minniti si è incaricato di renderla esplicita e anche di cominciare a metterla in pratica. Questo il nuovo progetto: l’Italia è disposta a tutto pur di fermare l’afflusso di richiedenti asilo e di migranti dall’Africa, anche ad “aiutarli a casa loro”, nel senso di lasciarli marcire nei campi di concentramento libici.

La “dottrina-Minniti” è chiara ed è coerente: il fine, ridurre il flusso delle partenze di migranti dalle coste libiche, giustifica i mezzi per raggiungerlo, cioè la messa in mora delle Ong umanitarie impegnate nel Mediterraneo e l’affidamento ai ras libici del lavoro sporco di “ospitare” i migranti in veri e propri lager. Su questa idea si è realizzata un’inedita convergenza di accenti e di argomenti tra destra, grillini, Pd; convergenza che ha visto il Partito democratico ritrovarsi su un terreno valoriale, riassumibile nello slogan “prima gli italiani”, da sempre patrimonio della destra.

Pagherà questa scelta, consentirà al Pd di raccogliere consenso in quella larga fetta di elettorato, oggi più larga di ieri, sensibile ai richiami securitari e sovranisti? Difficile, più probabile che alla fine quell’elettorato scelga l'”originale” salvinian-griillino alla fotocopia Pd. Di sicuro questa degenerazione politico-culturale della leadership democratica rende sempre più urgente la messa in campo di un’alternativa di progetto, di visione, di proposta di governo: perché come ha scritto Ezio Mauro, una sinistra che rinnega “quel vincolo politico e non solo umano che nella differenza di destino tiene insieme i sommersi e i salvati della globalizzazione”, ha perso del tutto il suo senso storico.

ROBERTO DELLA SETA

FRANCESCO FERRANTE

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