Basta fake news sul superbonus edilizio

pubblicato su huffingtonpost.it

Serve chiarezza per capire se le critiche che piovono sul “superbonus”,  l’ecoincentivo edilizio varato nel 2020 e di cui si sta discutendo il “se” e il “come”della proroga siano o meno giustificate.

Innanzitutto è bene partire dalla ratio originaria della norma e dai suoi risultati nell’anno abbondante di attuazione. Il superbonus voleva rilanciare l’edilizia, uno dei settori più a lungo colpiti dalla crisi che si trascina almeno dal 2008, ma senza consumare ulteriore suolo e promuovendo l’efficienza energetica. Nelle intenzioni di chi lo propose (e in particolare dell’allora ministro Riccardo Fraccaro che ne fu il primo ispiratore) si collocava nel solco del New Green Deal europeo e anticipava lo spirito del successivo Recovery Plan messo in campo per fronteggiare la recessione economica legata all’emergenza sanitaria: promuovere forme di economia e possibilità di occupazione orientate al miglioramento ambientale e al contrasto della crisi climatica.

Su questa “scommessa” va misurato il bilancio di un anno e più di applicazione del superbonus. Fino al 31 ottobre (dati Enea) la misura aveva fatto partire oltre 57mila cantieri per un valore di quasi 10 miliardi di euro, equamente distribuiti tra condomìni e edifici unifamiliari, e generato 135 mila posti di lavoro, producendo zero consumo di suolo e un importante risparmio energetico. Si può dire che questa sia stata in Italia l’unica politica concreta e rilevante adottata per rispettare i target europei al 2030 quanto a miglioramento dell’efficienza energetica, cioè a riduzione dei consumi di energia e delle relative emissioni inquinanti e climalteranti.

I “nemici” del provvedimento, a cominciare dal Ministero dell’Economia che l’ha sempre avversato, sostengono che costi “troppo”. Non è vero, l’ormai lunga storia dei bonus edilizi nel nostro Paese (il primo fu introdotto dal governo Prodi) dimostra che a fronte del mancato incasso da parte dello Stato per le detrazioni, c’è un aumento importante di Iva, Irpef, Irap per interventi che senza i bonus non ci sarebbero stati, che le compensa abbondantemente: in rete si trovano agevolmente i relativi studi del Cresme e dello stesso Servizio Studi della Camera dei Deputati che da quando la Commissione Ambiente era presieduta da Ermete Realacci presenta periodicamente i dati sull’andamento dei vari bonus.

E sullo stesso sito del Ministero dell’Economia si trova un recente studio della Open Economics e della LUISS Business School da cui risulta che nel triennio di applicazione del superbonus il costo totale per lo Stato dell’incentivo si limiterebbe a 800 milioni: altro che i miliardi di cui si parla!

Vero è che l’esplosione del numero dei cantieri ha determinato un aumento dei prezzi dei singoli interventi, ma è “il mercato bellezza”, e come detto l’esito complessivo della misura resta “win-win” per famiglie, imprese e Stato. Inoltre va ricordato che nel caso del superbonus sono previsti massimali di spesa per ogni singola tipologia d’intervento (al contrario che per il bonus facciate, che per questo ha dato luogo a un’artificiosa e inaccettabile lievitazione dei prezzi).

Una seconda critica al superbonus, quella formulata dai professionisti del “più uno” e del “ben altro”, è che il provvedimento non è abbastanza rigoroso nei parametri di efficientamento che richiede, ponendo come soglia minima per l’accesso al beneficio un “upgrade” di sole due classi energetiche dell’immobile oggetto dell’intervento. Ora, non c’è dubbio che l’incentivo possa essere reso ambientalmente più efficace, per esempio smettendo di finanziare le caldaie a gas, che utilizzano un combustibile fossile e dunque contribuiscono alle emissioni dannose per il clima, e invece puntando di più su tecnologie come le pompe di calore, magari geotermiche; ma l’andamento concreto della misura conferma ciò che era prevedibile: una volta che grazie al superbonus si interviene su un immobile, molto spesso si scelgono soluzioni, a partire dal cappotto termico, che garantiscono risultati in termini di efficienza energetica molto migliori dei “minimi” da rispettare per legge.

Ulteriore argomento spesso usato contro il superbonus è un “must” dei populisti: favorirebbe i ricchi. Nasce da questa idea il tentativo del governo Draghi di limitare gli interventi sugli edifici unifamiliari (maliziosamente chiamati “villette”) solo a proprietari sotto una determinata soglia ISEE. A parte l’obiezione che dovrebbe essere logica – prima ancora che costituzionale – per cui non va bene distinguere i cittadini tra chi abita in condominio e dunque a prescindere dal proprio reddito potrebbe in futuro accedere al bonus e chi vivendo in una casa unifamiliare (come circa metà della popolazione italiana) sarebbe ammesso all’incentivo solo al di sotto di un certo reddito, restano due altre considerazioni: la ratio della norma non era quella di sanare le diseguaglianze sociali, che si combattono con altri mezzi, e in ogni caso attraverso il meccanismo della cessione del credito e dello sconto in fattura (anche questi nel mirino dei censori dell’incentivo) si è reso possibile l’accesso al superbonus proprio ai meno abbienti, ai cosiddetti “incapienti”.

Infine c’è un’ultimo leit-motif ricorrente negli attacchi al superbonus: qualcuno se ne approfitta frodando lo Stato. Naturalmente ben vengano più controlli e più rigorosi, ma non si appesantiscano le procedure rendendo di fatto impraticabili proprio quei meccanismi come la cessione del credito che hanno consentito un utilizzo “universale” dell’incentivo. Sì parla moltissimo di “semplificazioni” ma l’Italia resta un Paese ingessato da un eccesso di burocrazia. Che senso avrebbe “complicare” il superbonus con ancora più burocrazia? Questo incentivo sta funzionando bene, è una politica virtuosa che l’Italia potrebbe a buon diritto proporre come modello in Europa. In troppi, miopi di varie sponde, ne parlando a vanvera come se dovessimo vergognarcene.

ROBERTO DELLA SETA

FRANCESCO FERRANTE

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