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METTIAMO L’AMBIENTE NEL CUORE DEL PD

Documento dell’Associazione degli Ecologisti Democratici per il Congresso del Partito Democratico


1. Oggi l’ambiente è uno dei grandi temi del progresso e della speranza in un futuro migliore.
L’ambiente conta sempre di più nella coscienza individuale e collettiva. Vivere in un ambiente sano
rappresenta una condizione fondamentale del benessere. I cambiamenti climatici non sono più solo
una minaccia, ma una drammatica realtà : si deve cambiare rotta, per passare dall’economia
energivora allo sviluppo ambientalmente e socialmente sostenibile.
Per tutto questo l’ambiente deve contare altrettanto anche nell’agenda della politica. Deve essere al
centro delle proposte e dell’azione del Partito Democratico. Perché l’ambiente non è una politica tra
le altre: è un valore, un interesse generale cui ispirare tutte le scelte della politica, e rappresenta una
straordinaria opportunità  per l’economia.
Al contrario, la marginalità  delle questioni ambientali nell’agenda politica del governo, il loro peso
ancora insufficiente anche nell’azione dell’opposizione, sono il sintomo di un problema che non
investe solo la questione ambientale: nel nostro Paese sono in crisi le nozioni di ‘bene comune’, di
interesse generale, di legalità , mentre viene messa in discussione la stessa unità  nazionale. Ciò
colpisce anche l’ambiente, un interesse generale che richiede scelte coraggiose e lungimiranti.
Siamo nel pieno di una grave crisi economica globale, che si intreccia con quella climatica ed
ambientale. Per affrontare la crisi – affiancando alla difesa dei più deboli che perdono il lavoro e
delle imprese in difficoltà  la scommessa sull’innovazione e sull’economia del futuro – anche l’Italia
deve puntare sulla green economy. Una nuova economia verde capace di produrre più ricchezza con
meno consumo di energia e di materie prime, riducendo le emissioni inquinanti per salvare il clima.
Una nuova economia verde che può creare occupazione e dare competitività  alle imprese. Una
nuova economia verde che investa sulle tecnologie pulite, sull’efficienza energetica e sulle fonti
rinnovabili, sulla modernizzazione e sulla riconversione ecologica di tutti i settori produttivi, su
nuovi sistemi di mobilità  e trasporto.
E’ su questa nuova frontiera che si vince la sfida dello sviluppo sostenibile – uno sviluppo misurato
non solo dal Pil, fondato su diversi stili di vita e sui valori di una società  ecologica – e della lotta
alle povertà  e alle immense disuguaglianze che oggi segnano la vita sul pianeta.
La nuova rivoluzione industriale connessa all’economia verde può e deve innestarsi, in Italia, sulla
qualità  ambientale dei territori e sulla soft economy, sulla valorizzazione di beni di cui il nostro
Paese è ricchissimo – paesaggio, natura, cultura, agricoltura di qualità , prodotti tipici, identità 
territoriali – dando nuovo impulso al made in Italy e alla nostra industria manifatturiera.
2. Per costruire un’alternativa vincente alla destra, per dare all’Italia un futuro, serve un Partito
Democratico coraggioso e netto nei suoi sì e nei suoi no.
Sì alla green economy come risposta alla crisi economica e climatica e come motore di sviluppo,
nuova occupazione, innovazione tecnologica, nel quadro degli impegni europei “20-20-20” e degli
accordi internazionali per il clima. Nel mondo, nel 2008, per la prima volta gli investimenti in fonti
rinnovabili hanno superato quelli nei combustibili fossili: è questa la strada che dobbiamo seguire.
Nel campo delle energie rinnovabili l’Italia è ancora in ritardo rispetto ad altri paesi europei, ma
si è finalmente messa in moto: nel 2008 è stato raggiunto un record nella produzione da eolico e da
solare fotovoltaico. Bisogna ora anche sviluppare un’industria nazionale delle tecnologie per
l’efficienza energetica e le rinnovabili.
No al nucleare, pericoloso e costosissimo. Il Partito Democratico contrasterà  il tentativo del
Governo di rilanciare il nucleare di vecchia generazione, che prefigura la militarizzazione delle
aree destinate ad ospitare le centrali, ignora i poteri di enti locali e Regioni, e scarica i costi
ambientali ed economici di questa scelta anacronistica e insensata sui cittadini.
Sì all’edilizia di qualità , al risparmio energetico, alla sicurezza antisismica, alla mobilità 
sostenibile. Il credito di imposta del 55% per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio
deve divenire permanente e va esteso alla sicurezza antisismica. Va avviato un piano di
investimenti per l’efficienza energetica e la sicurezza degli edifici pubblici . Si deve incentivare il
trasporto pubblico. Nelle politiche per i rifiuti si devono adottare misure per ridurne la produzione,
aumentare la raccolta differenziata puntando sul“porta a porta” per raggiungere l’obiettivo del
65%, realizzare gli impianti necessari per il trattamento, lo smaltimento, il recupero di materia e
di energia.
Sì alla tutela e alla piena valorizzazione del paesaggio. Occorre proteggere la grande
biodiversità  del nostro patrimonio naturale, le coste e il mare, i parchi, impareggiabili ricchezze
culturali, identitarie, economiche.
No all’abusivismo edilizio e al consumo illimitato di territorio. Occorre mettere un argine al
crescente consumo del suolo, con regole chiare per la pianificazione urbanistica ed il buongoverno
del territorio, orientando le trasformazioni urbanistiche e territoriali al recupero dei centri storici
e alla riqualificazione delle aree dismesse e degradate e delle periferie urbane.
Si alle opere utili. La più grande opera pubblica necessaria al nostro Paese è la messa in
sicurezza del territorio minacciato dal dissesto idrogeologico, insieme alla modernizzazione delle
reti ambientali ed energetiche: acquedotti, reti fognarie, depurazione. E’ necessario ripristinare i
fondi per le infrastrutture a livello nazionale e consentire agli enti locali di aprire subito i cantieri
per piccole e medie opere di riqualificazione del territorio e delle città , per la manutenzione di
scuole, ferrovie e strade.
No alle illegalità . Il Partito Democratico deve battersi ovunque con forza contro tutte le illegalità :
dalla criminalità  organizzata alle ecomafie (la cui pericolosità  è confermata dalla vicenda delle
“navi dei veleni”), fino alla criminalità  quotidiana che semina insicurezza soprattutto tra i più
deboli. Il Partito Democratico deve essere rigoroso ed intransigente sulla questione morale,
battersi sempre e dovunque per una politica trasparente e responsabile , e deve dare più spazio a
chi nella politica mette passione e competenza e chiudere le sue porte ai disonesti e agli affaristi.
Sì a buone politiche per la scuola, la cultura, la ricerca. Tagliare le risorse per la scuola e la
cultura, come sta facendo la destra, mette una pesante ipoteca sul futuro. C’è bisogno di più
ricerca scientifica, anche per conoscere sempre meglio le dinamiche e i limiti degli equilibri
ecologici e per promuovere un uso sostenibile, non predatorio, delle risorse naturali. Serve più
scienza, una scienza che a partire da un rafforzamento del ruolo delle istituzioni scientifiche
pubbliche (università  ed enti di ricerca) persegua l’interesse generale e non il vantaggio di pochi.
Sì a una riforma fiscale che incentivi le produzioni ed i comportamenti ecologici, alleggerisca il
prelievo su lavoro e imprese, scoraggi lo spreco di materie prime e le produzioni più inquinanti. Sì
ai bilanci ambientali ed agli acquisti verdi da parte delle pubbliche amministrazioni.
3. Per far vivere nella società  queste idee e queste proposte il Partito Democratico deve essere un
partito nuovo, aperto, accogliente.
Un partito che voglia davvero bene all’Italia e sia in grado di dare voce alle energie migliori del
paese: le mille economie territoriali che danno forza al made in Italy, le piccole e medie imprese che
ne sono il fulcro, le eccellenze nella ricerca scientifica e nell’innovazione tecnologica, i tesori di
arte, natura e di cultura del Bel Paese, il volontariato al quale milioni di cittadini regalano ogni
giorno un po’ del loro tempo.
Il PD ha già  al suo interno tante energie espressione dell’ambientalismo italiano. Deve oggi, con
ancora maggior forza, dare voce e rappresentanza alle ragioni di un moderno ambientalismo
riformista – anche riconoscendo sia nel proprio statuto che in ogni territorio l’Associazione degli
Ecologisti Democratici come strumento utile alla costruzione ed al radicamento territoriale del
partito.
Il PD può e deve porsi l’obiettivo di essere la più grande forza ecologista italiana ed europea.
Così sarà  più forte e credibile nel candidarsi a governare l’Italia.

Incentivi alle rinnovabili, ma per le rinnovabili

Pubblicato sul portale AgiEnergia

Sono sostenibili i costi che la collettività  sostiene per incentivare il ricorso alle fonti rinnovabili, indispensabili per combattere i cambiamenti climatici e per promuovere quella green economy che a livello internazionale viene vista come strada fondamentale per affrontare la crisi economica? Intanto facciamo un po’ di chiarezza su quanto spendiamo oggi. Nel 2008 gli oneri Cip 6 scaricati sulle nostre bollette ammontavano a 1,8 miliardi di euro. Ma se andiamo a vedere dentro quei numeri, scopriremo che per le fonti effettivamente rinnovabili (geotermia, solare, eolico) si sono spesi poco più di 200 milioni, mentre invece se ne sono “regalati” ai petrolieri che bruciano combustibili fossili ben 800 milioni grazie alla trovata tutta italiana delle “assimilate” per cui per anni abbiamo concesso a fonti non rinnovabili gli stessi incentivi che in tutta Europa erano destinati esclusivamente alle fonti pulite. Questa “truffa” l’avremmo fermata con la prima finanziaria del governo Prodi, quella del 2007, con una norma che finalmente riallineava il nostro Paese agli altri paesi europei cancellando le “assimilate”. Bisogna però usare il condizionale perché se è vero che il regalo ai petrolieri sta finendo e quegli 800 milioni in futuro resteranno giustamente nelle tasche dei cittadini, successivamente a quel dicembre 2006,  più volte la lobby degli inceneritoristi ha provato a salvare gli oltre 700 milioni che attualmente si spendono per gli RSU che invece andrebbero concessi solo per la parte dei rifiuti biodegradabile (al massimo il 50%). Con questo Governo quegli assalti sono andati a buon fine almeno per gli inceneritori che si dovrebbero costruire in Campania e in Sicilia e comunque le proroghe sono sempre in agguato. La prima cosa quindi che si dovrebbe fare affinché i cittadini  non paghino in tariffa costi davvero impropri sarebbe quella di impedire che in Parlamento vincessero le lobby e che non si modifichi più quella norma – faccio peraltro notare che in tutta Europa si bruciano rifiuti per recuperare energia senza usufruire di incentivi. Quindi nel 2008 i costi che abbiamo sostenuto per le vere rinnovabili considerando anche i 110 milioni per il “conto energia” dedicato al fotovoltaico e i 400 per i certificati verdi – restano al di sotto di 1 miliardo di euro, meno di quanto abbiamo speso per sostenere i profitti di aziende petrolifere e di quelle impegnate nello smaltimento dei rifiuti!
Per il futuro è comunque corretto pensare a una riduzione degli incentivi. Essendo stato autore insieme a Edo Ronchi della riforma delle incentivazioni, nella finanziaria del 2008, ovviamente difendo la scelta di allora, utile per far finalmente “partire” le rinnovabili in questo Paese. E così è stato: siamo arrivati a 500 Mw di solare fotovoltaico istallato e l’anno scorso abbiamo prodotto oltre 6 Twh di energia elettrica con il vento. Insomma quegli incentivi sono stati il volano giusto, ora si possono però riallineare con quelli previsti negli altri paesi Europei, magari contemporaneamente assicurando che le linee guida per le rinnovabili, in gestazione tra il Ministero dell’Ambiente, quello dello Sviluppo Economico e quello dei Beni Culturali  da oltre 10 anni, vengano finalmente partorite e costringendo le Regioni (come prevede la legge) a darsi obiettivi vincolanti nella produzione di energia da rinnovabili in  modo che gli obiettivi al 2020 possano davvero essere raggiunti.

In questo quadro per cui, se non si legifera allegramente sulle assimilate e se il Governo riduce con giudizio gli incentivi per le rinnovabili, i 7 miliardi di spese paventati dall’Autorità  per il futuro sono un rischio che non correremo, non credo abbia senso spostare quegli oneri dalla tariffa elettrica alla fiscalità  generale: peraltro in nessun Paese europeo dove il meccanismo funziona si è scelta quella strada. Due i motivi fondamentali per cui è meglio rimanere con questo sistema: il primo è quello per cui così internalizziamo i costi e i cittadini sanno con un meccanismo trasparente (la tariffa A3) che quelli sono i costi che stanno sostenendo per quella causa, il secondo, molto più pratico, è che così quelle risorse non sono a disposizione del Ministro del Tesoro di turno che, in periodi di crisi , o per scelte “politiche” contingenti, potrebbe avere la tentazione di toglierle, ridurle, fissare tetti che vanificherebbero tutto il meccanismo. Ovviamente però potrebbero essere apportate utili correzioni a quel meccanismo: esentare dall’IVA il costo che in bolletta si sostiene per incentivare le rinnovabili e spostare sulla fiscalità  generale altri oneri di sistema, quali ad esempio il decomissioning nucleare, che attualmente pesano impropriamente sulle nostre bollette, sarebbero ad esempio interventi auspicabili e che si potrebbero prendere immediatamente.

Francesco Ferrante

 

GREEN ECONOMY

Guardiagrele (Ch), venerdì 17 luglio 2009
 

SEMINARIO ESTIVO DI SYMBOLA
 

Green economy: esperienze e prospettive
Francesco Ferrante, vicepresidente Kyoto Club
 

Siamo nel pieno di una grave crisi economica, di cui forse i mesi peggiori sono ancora davanti a noi: come affrontarla? Si può, nello stesso tempo, rimediare ai guasti peggiori della crisi, difendere i più deboli che perdono lavoro, le imprese in difficoltà   e insieme pensare al futuro e dare nuove opportunità  al sistema affinché si possa uscire dalla crisi con un “nuovo benessere” e una migliore qualità  della vita per le persone? Per rispondere a questa domanda in tutto il mondo – dagli Stati Uniti all’Europa, ma anche nei paesi emergenti ,dal Brasile all’India, alla Cina – ci si sta rivolgendo alla “green economy”, a quell’economia che punta sull’innovazione tecnologica, nel comparto energetico innanzitutto – efficienza e fonti rinnovabili – ma anche ad esempio su nuovi sistemi di mobilità  e trasporto, applicando l’information technology anche in questo campo. Una “green economy” parente stretta della “soft economy”  teorizzata da Ermete Realacci e che è alla base della stessa nascita di Symbola, e nella quale a pieno titolo vanno considerate quelle imprese che puntano sulla valorizzazione di “beni” tradizionali come ad esempio quelli di cui il nostro Paese e l’Abruzzo, dove teniamo questo seminario, sono ricchissimi: paesaggio, natura, cultura, tradizioni eno-gastronomiche.
 

Non a caso il progetto “banca delle risorse”, che Legambiente ha voluto lanciare insieme all’Anci all’indomani del territorio con l’obiettivo di incrociare le richieste dei comuni abruzzesi colpiti dal sisma con le offerte di solidarietà  provenienti da tutta Italia, sta incontrando i primi successi proprio dall’attenzione di quelle aziende che lavorando sulla qualità  hanno anche un elevato tasso di responsabilità  sociale.
 

Sul piano globale, lo straordinario impatto che sta avendo sulla scena mondiale l’avvento di Barak Obama ha tra l’altro anche il merito di rendere evidente che la strada per costruire una società  più equa e giusta sia sul piano interno – si pensi alla vera rivoluzione che il Presidente Usa propone nel sistema sanitario di quel Paese – che a livello globale – le politiche di pace, quelle di cooperazione e rispetto verso l’Africa – sono un tutt’uno con le politiche ambientali. E infatti nel proporre l’introduzione del sistema “cap and trade” per l’anidride carbonica, un sistema che quando definitivamente approvato provocherà  una vera e propria rivoluzione nel modo di produrre della più grande economia del mondo,  temi etici – “noi ricchi dobbiamo assumerci l’onere di fermare la febbre del pianeta che abbiamo causato e di cui pagano le maggiori conseguenze i paesi poveri” – andavano a braccetto con quelli di convenienza – “noi americani dobbiamo liberarci dalla dipendenza dal petrolio e dai paesi che lo producono”.
E dobbiamo anche riflettere su un’altra novità  che sta avvenendo nel paese che già  oggi è il grande inquinatore e che sempre più peserà  nell’economia mondiale: la Cina. E’ vero che quel paese, insieme agli altri emergenti come l’India e il Brasile, è il più riluttante a firmare accordi internazionali vincolanti sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, ed è vero che il loro approccio di fronte alla richiesta di riduzione di quelle emissioni è stato sino adesso del tipo: “ma che volete? Avete inquinato sino adesso e siete i responsabili di questo straordinario aumento di concentrazione di CO2 in atmosfera perché avete pensato esclusivamente alla vostra ricchezza e ora che toccherebbe a noi dare ai nostri popoli automobili, elettrodomestici, in alcuni casi anche solo servizi essenziali quali la luce elettrica nelle abitazioni, volete che ci fermiamo noi? Non se ne parla proprio”.
Ma il loro atteggiamento sta cambiando e proprio la Cina – grazie alle sue dimensioni – è diventato rapidamente il maggior produttore di energie rinnovabili al mondo, tanto che negli Usa e in Europa si sta iniziando a diffondere la paura che anche su quelle tecnologie su cui sino adesso ci ritenevamo all’avanguardia insieme al Giappone, gli emergenti grazie alla loro straordinaria dinamicità  e rapidità  possano sopravanzarci.
Anche per questo sarebbe tanto più necessario in questa parte del mondo e nel nostro Paese in particolare investire sempre di più sull’innovazione per potere giocare un ruolo importante in questa nuova economia, partendo dalla valorizzazione di quelle eccellenze che già  abbiamo in casa.
 

Il nostro Paese ha infatti grandi numeri per eccellere nello sviluppo sostenibile: dalle piccole e medie imprese del made in Italy, all’agroalimentare di qualità , al turismo, la nostra forza economica, la nostra capacità  competitiva si basano non sulla quantità  ma sulla qualità , la bellezza, la bontà  di ciò che produciamo e che offriamo al mondo, e dunque recano un segno intrinsecamente ecologico. L’ultimo esempio, forse il più vistoso, di questa vocazione “verde” dell’Italia è nel salvataggio della Chrysler affidato da Barak Obama alla Fiat. Da sempre la specialità  della Fiat è stata produrre automobili piccole e a bassi consumi, e questa vocazione produttiva oggettivamente ecologica ne fa oggi, tra le case automobilistiche, quella con più futuro. Ma gli esempi sono innumerevoli: dal vino italiano che nel 2008, malgrado la crisi, ha visto crescere ulteriormente il valore del suo export (sebbene la quantità  prodotta sia quasi la metà  di vent’anni fa) confermandoci come la prima potenza vinicola del mondo, alla chimica verde delle bioraffinerie, quella che grazie anche ad intelligenti ed innovativi accordi con gli agricoltori ricava dal mais le plastiche biodegradabili che ha in un’azienda italiana – la Novamont – il suo campione mondiale.
 

Dalla ricerca ITALIA si possono trarre numeri interessanti per quanto riguarda il settore agro alimentare.
 

Siamo al primo posto in Europa nella graduatoria dei prodotti Dop e Igp con 173 prodotti certificati, seguiti dalla Francia con 161, quindi dalla Spagna con 117.
 

Nel 2008 le aziende agricole dedite alla filiera corta sono salite a 60.700, con una crescita del 6% rispetto al 2007 e confermando il trend, ancora più positivo, registrato nel 2005-2006 (+18,3%). Se si considera poi il periodo 2000-2007, si rileva un tasso di crescita del 57%. Il giro di affari del settore sale invece a 2,7 miliardi (+8% rispetto all’anno precedente), trainato soprattutto dalla produzione di vino (43%, con 21.400 aziende), ortofrutta (23%, con 18.840), carne e salumi (8%, con 4.900 aziende), formaggi e latte (10.500 operatori). La vendita diretta contraddistingue comunque nel nostro Paese anche la produzione di olio (10%, con 7.750 aziende), miele (3%, per 4.850 aziende), piante e fiori (7.200 operatori).
 

L’Italia è leader europeo per la diffusione del metodo della produzione biologica. Nel nostro Paese opera circa un terzo delle imprese biologiche europee e si colloca un quarto della superficie bio comunitaria. Rilevante la posizione italiana anche nel panorama mondiale; in termini di superficie- 1,15 milioni di ettari –  essa si colloca infatti al quinto posto preceduta soltanto da grandi Paesi per estensione quali l’Australia, Cina, Argentina e Stati Uniti. Il giro d’affari complessivo del mercato biologico viene stimato pari a circa 1.900 milioni di euro. Il 4% del fatturato del settore viene esportato, per un valore, nel 2007, di circa 900 milioni di export. Oltre alla positiva propensione all’export, il settore bio evidenza segnali di vitalità  legati alle caratteristiche delle imprese, condotte nel 65% dei casi da operatori con un’età  inferiore ai 50 anni, altamente scolarizzati (con una percentuale dei laureati, in particolare, del 17%) ed orientati all’innovazione tecnologica. 
 

Ma ormai anche nel campo delle energie rinnovabili il sistema italiano si è finalmente rimesso in moto. Ancora il gap nei confronti degli altri paesi europei  è ampio ed è dovuto ai nostri colpevoli ritardi, ma grazie anche alla riforma del sistema di incentivazione che abbiamo realizzato con la finanziaria  del 2008 – la seconda del Governo Prodi – lo scorso anno abbiamo raggiunto un record nella produzione da eolico , oltre 6 Twh, e finalmente abbiamo iniziato a istallare quantità  significative di solare fotovoltaico (ormai abbiamo superato i 500 Mw). Insomma iniziamo finalmente ad essere in linea con ciò che avviene in Europa e nel mondo  in questo campo: nel 2008 in Europa sono stati istallati impianti eolici per 8000 Mw, contro i 7000 Mw di centrali a gas, e anche il fotovoltaico ha raggiunto uno spettacolare risultato di 4000 Mw; nel mondo nel 2008 per la prima volta gli investimenti in fonti rinnovabili (140 miliardi di dollari) hanno superato quelli nel tradizionale fossile (110 miliardi di dollari).
Questo dinamismo sulle istallazioni, anche in Italia si sta trasferendo finalmente sulla ricerca e sull’innovazione nelle quali alcune nostre imprese stanno già  svolgendo ruoli importanti.
Una breve e certamente non esaustiva rassegna di esperienze innovative e di successo: la Angelantoni sul solare termodinamico, il cui dinamismo ha attratto gli investimenti anche di una multinazionale quale la Siemens (la tecnologia ideata da Rubbia, messa punto dall’Enea è stata successivamente trasferita sul mercato proprio grazie ad Archimede Solar Energy (Ase), azienda del Gruppo Angelantoni,  unico produttore al mondo di tubi ricevitori solari a sali fusi per le centrali del solare termodinamico); la siciliana Moncada, uno dei leader sull’eolico che ha realizzato una turbina tutta italiana; le aziende – spesso spin off universitari, Ferrara e Parma tra gli altri – impegnate nella ricerca di alternative all’utilizzo del silicio come componente delle celle fotovoltaiche; le imprese come la Giacomini, che nata come produttrice di singoli componenti per il riscaldamento e la distribuzione sanitaria, ha successivamente specializzato la propria produzione, puntando sul risparmio energetico e sullo sviluppo di nuovi sistemi ad alto contenuto tecnologico destinati alle energie rinnovabili ; le aziende specializzate in tecnologie innovative per il risparmio nella pubblicazione illuminazione (l’Umpi Elettronica di Cattolica, la Sorgenia Menowatt che ha la sua base operativa nelle Marche, ma anche i produttori di led, la cui sperimentazione a Torraca ha raggiunto interessanti obiettivi); la Faam di Monterubbiano (ancora nelle Marche), leader europeo per la produzione di batterie e veicoli elettrici, le sue macchine elettriche da oltre un decennio puliscono le ramblas di Barcellona, mentre l’estate scorsa hanno debuttato alle Olimpiadi di Pechino per contribuire allo spostamento degli atleti e al monitoraggio ambientale.
Insomma il nostro Paese offre non solo opportunità , ma anche esperienze concrete su cui basare politiche industriali di rilancio che sappiano stimolare l’innovazione: servono però scelte decise e coraggiose. Serve in particolare puntare a una radicale riconversione del nostro sistema energetico verso l’efficienza, il risparmio, le fonti rinnovabili, come risposta alla crisi economica e a quella climatica e come motore di sviluppo, occupazione, progresso tecnologico. Non serve affatto invece, anzi è dannosissimo, accarezzare l’idea, peraltro velleitaria, di tornare al nucleare del passato, pericoloso e costosissimo.
 

Il nucleare è davvero troppo caro e l’ultima conferma proviene dal rapporto del Massachusetts Institute of Technology di Boston (Mit). Il documento del Mit sottolinea infatti che, nonostante l’attenzione sul tema sia cresciuta e nuove politiche di rilancio siano state annunciate in molti paesi, lo sviluppo del nucleare è in calo a livello globale. Ad eccezione dell’Asia, e in particolare di Cina, India e Corea, esistono infatti pochi progetti concreti. Negli Stati Uniti non vi è attualmente alcun cantiere aperto ed il lento sviluppo del nucleare, rispetto agli annunci e alle previsioni, rende meno probabile lo scenario di espansione ipotizzato nel 2003 dallo stesso Mit (1000 Gwe nel 2050 di cui 300 negli USA). Ma l’aspetto forse più significato del rapporto del Mit è la netta affermazione per cui in un’economia di mercato il nucleare non è competitivo rispetto al gas o al carbone. I costi del capitale e i costi finanziari delle centrali nucleari continuano ad essere infatti significativamente incerti. Dal 2003 i costi di costruzione delle centrali nucleari sono aumentati drasticamente, con una media del 15 per cento all’anno in più come dimostrano le esperienze in Giappone e Corea.  Nel 2007, secondo i nuovi dati del Mit, realizzare una centrale nucleare costa 4000 dollari per kW contro i 2000 di quattro anni prima. Un aumento molto più consistente di quanto accaduto nel carbone e nel gas attualmente stimate a 2300 dollari e 850 dollari a kW contro i 1300 e 500 del 2003. Una crescita che si ripercuote inevitabilmente anche sui costi finali dell’energia: dai 6,7 centesimi a kilowattora stimati nel 2003 il nucleare è passato ad un costo di 8,4 cent a kilowattora contro i 6,2 del carbone ed i 6,5 del gas. E’ quindi il Mit, non solo Legambiente e Greenpeace, che si incarica di seppellire l’idea che ricorrere al nucleare sarebbe “conveniente”.
Inoltre è proprio di questi giorni che Areva, l’azienda francese costruttrice di centrali nucleari cui il nostro Governo vorrebbe affidare il compito anche in Italia, ha appena chiesto al Canada 4500 euro per kW – ben di più quindi anche delle stime del Mit – per realizzare un impianto in quel Paese e causando ovviamente l’immediato stop del progetto.
Questi costi imprevedibili e comunque esorbitanti sono la causa della recente richiesta venuta dall’Enel di stabilire una tariffa “minima” per la vendita dell’elettricità  – una richiesta ovviamente non recepibile in quanto evidentemente contro il mercato e contraria agli interessi di consumatori e aziende – in modo da poter “rilanciare” il nucleare in Italia.
 

La recente approvazione in parlamento del cosiddetto DDl Sviluppo all’interno del quale era contenuto appunto il “ritorno al nucleare” è quindi proprio l’esempio di ciò che non si dovrebbe fare. Al contrario andrebbe perseguita con più decisione la strada tracciata dall’introduzione del credito di imposta del 55% per per la riqualificazione energetica nell’edilizia e che ora andrebbe esteso, come chiedono anche le Regioni, agli adeguamenti antisismici, una strada che ha già  permesso il risparmio in due anni di 2500 GWh di energia elettrica ed è stato un sostegno concreto a un settore in difficoltà . Un esempio positivo di politiche incentivanti su cui nei prossimi mesi dovremo mobilitare in uno sforzo comune associazioni, imprese, cittadini per ottenere di più. Molto di più.
 

C’è poi una riforma più generale che andrebbe affrontata con coraggio e che molto potrebbe dire al mondo che più concretamente si impegna nell’innovazione e nella “green economy” e che potrebbe disegnare un futuro migliore per tutto il Paese: una riforma fiscale che alleggerisca finalmente il prelievo su lavoro e imprese e che scoraggi lo spreco di materie prime e le produzioni più inquinanti. Così si stanno muovendo l’Europa e gli Stati Uniti, mentre finora in Italia è accaduto il contrario: tra il 1997 e il 2007 il prelievo fiscale “ambientale” (su energia, auto, acqua, rifiuti) è diminuito, passando dal 3,5% al 2,7% del Pil, e la tassazione energetica su ogni tonnellata equivalente di petrolio consumata è scesa del 27% (da 213 a 155 euro-2000): ritornare ai livelli di dieci anni fa vorrebbe dire generare un’entrata aggiuntiva di 13 miliardi di euro che potrebbero venire detratti dalla fiscalità  a carico del lavoro e delle imprese avvantaggiando la parte più innovativa e dunque strategica dell’economia reale. 
 

In conclusione, siamo convinti che se imbocchiamo la strada della green economy creeremo le condizioni per uscire dalla crisi migliori di prima perché quel mix di qualità  locale e innovazione potrà  offrire nuovo sviluppo e nuovo benessere ai territori e alle comunità , ma vogliamo anche riaffermare che se è vero che la difesa dell’ambiente e la promozione di questa economia è una straordinaria occasione da cogliere per tutto il sistema, è altrettanto vero, e forse persino più importante, che la battaglia in difesa del Pianeta e per il nostro futuro è un bene in sé che vale la pena combatterla comunque.
 

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