Emergenza rifiuti e biodigestori. La via del riciclo aiuta l’ambiente

pubblicato su Repubblica (Cronaca di Roma)

Dopo anni di immobilismo, il Sindaco di Roma Gualtieri e l’assessora all’ambiente Alfonsi sembrano finalmente prendere il toro dei rifiuti per le corna: che nella capitale (e non solo) è la mancanza di impianti per recuperare e riciclare la spazzatura, a cominciare da quelli che trattano i rifiuti organici di origine alimentare e vegetale che sono la frazione principale dei rifiuti prodotti nella nostra come in ogni città. Così, la nuova amministrazione ha finalmente tirato fuori dal cassetto i progetti a suo tempo sviluppati da Ama, l’azienda di proprietà del comune che gestisce il ciclo dei rifiuti, di due “biodigestori” per trasformare la “monnezza” di origine organica in biometano – alternativa rinnovabile al metano fossile – e compost, che la Giunta Raggi aveva seppellito. Apriti cielo! E’ partito subito un festival Nimby, un coro di “non a casa mia” aprioristici, che in Italia sono purtroppo la norma e che “raccontano” gli impianti necessari a recuperare e riciclare materia – impianti innocui per l’ambiente e la salute – come se fossero macchine velenose.

I no ai biodigestori romani provengono da più fronti: sono i no prevedibili dei “pentastellati” da sempre contrari, che evidentemente non provano alcuna vergogna per il bilancio fallimentare dei loro cinque anni di malagestione dei rifiuti, e della destra che con i suoi leader nazionali propone persino di tornare alle centrali nucleari e invece in questo caso (come spesso dov’è all’opposizione) difende disperatamente lo “status quo”. Ma al coro Nimby si sono unite anche altre voci: quella insospettabile del Vescovo della Diocesi Suburbicaria di Porto Santa Rufina il cui territorio comprende anche parte dei Municipi – il XIII e il XV – dove dovrebbero sorgere i due impianti, e poi i Verdi romani ed esponenti dello stesso partito del Sindaco, che in Consiglio Comunale e nei due Municipi “incriminati” hanno offerto sponda alle minoranze  rumorose che sempre strillano quando nelle politiche di buona gestione dei rifiuti si cerca di passare dalle parole ai fatti.

Nessuno dei “pericoli” agitati da chi descrive i biodigestori come “bombe ecologiche” è fondato su dati e sull’esperienza. Non quello di possibili esplosioni, non si conoscono casi di biodigestori “esplosi”. Nemmeno quello di insopportabili emissioni odorigene (leggasi odori nauseabondi nelle aree vicine agli impianti): in particolare, il processo di degradazione che trasforma i rifiuti in biometano avviene in ambiente anaerobico, cioè in assenza d’aria, perciò com’è facile intuire produce molti meno cattivi odori esterni di una discarica o una compostiera tradizionale dove invece i rifiuti organici sono immagazzinati o trattati a contatto con l’aria.

In Italia sono in funzione (dati aggiornati al 2020) 66 biodigestori per i rifiuti urbani, due terzi dei quali producono anche compost e che in totale trattano ogni anno oltre 4 milioni di tonnellate di rifiuti. Di questi, 50 si trovano nelle regioni del nord e solo 16 nel centro-sud. In generale, a nord di Roma si registrano standard di assoluta eccellenza europea nella gestione sostenibile dei rifiuti urbani, con oltre due terzi dei rifiuti prodotti che vengono riciclati in impianti “in loco”,  e invece da Roma livelli di grave arretratezza con un’enorme quantità di rifiuti urbani, per buona parte rifiuti organici, che viaggia per centinaia, anche migliaia di chilometri: Ispra, l’Agenzia pubblica per la protezione dell’ambiente, ha stimato che più di 2 milioni di tonnellate annue di rifiuti urbani sono trattati e smaltiti in regioni diverse da quelle da cui provengono, il che significa ogni anno oltre 100 mila viaggi di camion e oltre 30 mila tonnellate di anidride carbonica – il gas che più di tutti alimenta la crisi climatica – emessa in atmosfera.

Noi romani produciamo 1.700.000 tonnellate di rifiuti urbani all’anno; quando, speriamo presto, anche Roma raggiungerà il livello di raccolta differenziata e riciclo prescritto dall’Europa, cioè 65%, i rifiuti organici da trattare saranno non meno di 400 mila tonnellate, già oggi sfiorano le 300 mila. Questa “materia” è una risorsa preziosa, grazie ai biodigestori può diventare energia pulita e rinnovabile e materia riciclata utilizzabile in agricoltura. Invece senza impianti i rifiuti organici rappresentano una mina vagante per l’ambiente e per la salute: o finiscono in discarica oppure viaggiano per l’Italia su treni e tir consumando energia, inquinando, facendo lievitare il costo della gestione dei rifiuti pagato dai contribuenti.

Dunque chi vuole impedire che Roma si doti di impianti adeguati per riciclare i rifiuti può pure presentarsi da ecologista – come nel caso dei Verdi e dei comitati contro i biodigestori – o da “tribuno del popolo”, ma di fatto agisce da nemico della transizione ecologica, della tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini. E magari, più o meno consapevolmente, apre la strada a modelli assai meno ecologici e salubri di gestione dei rifiuti come quelli basati sull’incenerimento.

“Rifiuti zero” è un bello slogan ripetuto spesso da quanti giustamente invocano una gestione “ecologica” della nostra spazzatura, ma c’è un unico modo per farne anche un obiettivo concreto. Noi romani, come tutti gli umani, continueremo a produrre rifiuti. Per “azzerarli” occorre che questa montagna di materia – quasi 5 mila tonnellate ogni giorno, oltre 1.000 tonnellate solo di “umido”, cioè di rifiuti organici –  venga recuperata e riciclata, cioè torni utile per nuovi impieghi, il che può avvenire solo realizzando impianti adibiti allo scopo. Insomma: rifiuti zero è uguale a impianti mille oppure è una fake news.

 

ROBERTO DELLA SETA

FRANCESCO FERRANTE

 

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