I VERDI IN ITALIA: RADIOGRAFIA DI UN’ASSENZA  

 

pubblicato su Domani

“Sono come il cocomero: verdi fuori e rossi dentro”. Questa vecchia battuta sui Verdi italiani, fu inventata da Giulio Andreotti, dice molto della diffidenza che l’ambientalismo ha sempre suscitato nella destra e in generale nei “conservatori” di casa nostra. Ma nasconde anche una verità più oggettiva, che guardandola da un diverso  punto di vista evoca  non quello che per i detrattori della cultura ecologica è il lato oscuro dei Verdi – essere dei “sovversivi”, degli anti-sistema appena un po’ travestiti – ma piuttosto la loro debolezza, la ragione fondamentale per la quale sono stati fino a oggi “inoffensivi” non avendoconquistato uno spazio significativo e stabile nel paesaggio politico italiano.
Sì, i Verdi in Italia formalmente ci sono (da oltre trent’anni) ma politicamente non esistono, perché da sempre si propongono come un partitino di sinistra, il più delle volte come una delle tante espressioni della cosiddetta sinistra radicale. Questa stessa impronta caratterizzava in originequasi tutta la galassia Verde europea, ma nel resto d’Europa – dalla Germania alla Francia, dai Paesi scandinavi al Belgio e ai Paesi Bassi – le forze politiche ecologiste hanno saputo liberarsene affermandosi come “altro” dalla sinistra tradizionale.

In Germania, per dire, i Grünen governano in coalizione con i democristiani della Cdu due dei länder più ricchi e popolosi del Paese: l’Assia e il Baden WÜrttemberg. In Francia Les Verts hanno trionfato nelle recenti elezioni municipali presentandosi spesso da soli e conquistando con propri candidati sindaci grandi città come Marsiglia, Lione, Bordeaux, Strasburgo, Poitiers. In Austria governano insieme ai Popolari del cancelliere Kurz.

Condivisibili o meno, queste scelte testimoniano un dato indiscutibile: i Verdi in Europa sono riusciti a diventare come li voleva Alex Langer, uno dei costruttori del pensiero verde e un fondatore dei Verdi italiani , che già quarant’anni fa preconizzava per loro un futuro da “terzo polo”, esterno “rispetto alla canalizzazione corrente della dialettica politica”.

Cosa separa i Verdi dalla sinistra di matrice socialista?Moltissimo, prima di tutto il fatto che s’identificano con un tema, con  un interesse, con un bisogno che non hanno la loro radice nella condizione socio-economica di questo o quel gruppo di individui – la si chiami classe, categoria professionale, blocco sociale – ma sono squisitamente comunitari o meglio universali, allo stesso modo dei diritti umani, dei diritti politici, dei diritti di genere. Il problema ambientale, certo, colpisce le persone in modo più o menograve anche in base alla loro appartenenza “di classe” – per esempio l’impatto sociale della crisi climatica o dell’inquinamento delle città danneggia prima e con maggiore forza gli “ultimi”, i più deboli -, ma riguarda l’universalità del mondo umano, i ricchi come i poveri, il Nord come al Sud del mondo, e in questo senso richiama una dimensione più “liberal” che socialista. Così, non è un caso che i Verdi europei siano i più impegnati e avanzati – più impegnati e avanzati anche della sinistra – proprio sul fronte dei diritti civili: della parità di genere, che rivendicano per ogni ambito della società e praticano rigorosamente tra loro, di politiche migratorie incardinate sui valori della solidarietà, dell’accoglienza, dell’integrazione.

Tuttora imprigionati nel ruolo anche elettorale di comprimari della vecchia sinistra in alleanze improvvisate il più delle volte fallimentari (dalla “sinistra arcobaleno” delle elezioni 2008 alla “rivoluzione civile” di Ingroia del 2013) , i nostri Verdi hanno perso irrimediabilmente il passo di un cambiamento epocale che da anni sta investendo l’Italia come l’Europa e il mondo: mentre l’urgenza della crisi climatica fa dell’ambiente la materia prima di innovative mobilitazioni sociali a partire dai ragazzi dei “Friday For Future”, mentre l’attenzione verso l’ecologia va esplodendo nella società e va coinvolgendo bisogni e interessi sempre più larghi e politicamente meno connotati, i Verdi italiani rimangono inchiodati a quel profilo da “cocomero” evocato da Andreotti, indigesto per un’ampia fetta di elettorato che èsensibile al messaggio ecologico ma indisponibile verso un’offerta politica con tratti così marcatamente (e anacronisticamente) ideologici. Anche per questo sono fuori dal Parlamento da oltre un decennio, anche per questo non intercettano nemmeno le briciole della popolarità crescente del tema-ambiente.

Tra i sintomi di questo ritardo, di questa inconsapevole ma evidente complicità dei Verdi italiani con chi liquida l’ecologia politica come una ideologia regressiva, antimoderna, il più vistoso è nell’incapacità di superare una visione pessimistica, tendenzialmente antinomica del rapporto tra ecologia ed economia, per essere più chiari tra ecologia e capitalismo, che li fa terribilmente assomigliare a quell’immagine di “partito del no” con cui gli avversari delle idee ecologiche cercano da sempre di marchiare gli ecologisti. Oggi in Italia come in tutta Europa sta mettendo radici e si sta rapidamente sviluppando un’economia reale a forte vocazione ambientale, che su questo suo carattere costruisce successo imprenditoriale, capacità di reazione anticiclica alle crisi (ieri la recessione globale, oggi il post-Covid), forza competitiva. Nel mondo dei produttori come in quello dei consumatori cresce di continuo la propensione verso scelte “green”: in Italia più che altrove, sono imprese e sono cittadini politicamente “invisibili”, che non trovanouna risposta credibile, convincente alla propria domanda insoddisfatta di rappresentanza.

Il paradosso dunque è servito. In pochi altri Paesi come nel nostro una larga e crescente vitalità sociale e associativa delle istanze ambientaliste, misurabile per esempio dal trionfo ecologista a distanza di un quarto di secolo nei due referendum antinucleari del 1987 e del 2011, convive con l’assenza pressoché totale delle ragioni “green” dall’offerta politica: tra la destra più antiecologica d’Europa, una sinistra “riformista” tanto più indietro sul punto rispetto ai grandi partiti socialisti e progressisti del mondo, i Cinquestelledivorati da una profondissima indifferenza culturale e programmatica malgrado l’ambiente fosse uno degli argomenti simbolo dei loro esordi.

Come uscirne? Chi scrive ha tentato una scorciatoia, integrare la questione ambientale come uno dei pilastri identitari del Partito democratico che nasceva, più di dieci anni fa, con l’ambizione di riunire riformismi vecchi e nuovi. Per onestà va riconosciuto che quell’ipotesi è fallita miseramente. No, non ci si sono scorciatoie, serve una proposta ecologista non “intruppata” nelle attuali logiche di schieramento: radicale nell’idea di cambiamento, pienamente contemporanea. Speriamo che nasca presto, che magari sull’esempio di quanto è avvenuto in Francia prenda forma a cominciare dalle città dove si vota nella prossima primavera. Il loro massimo successo i Verdi italiani lo ottennero nel 1993 quando il loro leader di allora – Francesco Rutelli, un outsider estraneo anche per biografia personale alla storia della sinistra venne eletto sindaco di Roma nel ballottaggio con Gianfranco Fini. E’ un precedente ormai lontano ma incoraggiante, anche perché Rutelli fu un sindaco eccellente.  

di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante

Lascia un commento

Your email address will not be published. Please enter your name, email and a comment.