Il male nell’aria


pubblicato su Ecofuturo magazine

C’è un limite sopportabile all’inquinamento atmosferico?

Una domanda che può apparire paradossale  in un periodo in cui la crisi climatica si manifesta in tutta la sua potenza: le settimane più calde mai registre sul Pianeta, e parliamo di temperatura media globale, non delle ondate di caldo che pure investono le nostre città, mettendo a rischio la salute dei più fragili, e le nostre campagne minacciando i raccolti ( e non più solo l’Africa sub-sahariana da cui profughi ambientali fuggono per la desertificazione). Oramai siamo stabilmente oltre le 420 ppm (parti per milione) della concentrazione di CO2 in atmosfera. Incostante crescita da un anno all’altro. Prima dell’era industriale, i valori di anidride carbonica erano rimasti stabili attorno a 280 parti per milione per circa 6000 anni. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale erano 310 ppm. Durante la crisi petrolifera degli anni ’70 erano 335 ppm. Poi inizia l’accelerazione: 353 ppm nel 1990, 368 ppm nel 2000, 388 ppm nel 2010, 412 ppm nel 2020. Oggi la concentrazione di CO2 in atmosfera è stabilmente più del 50% sopra i valori pre-industriali, I dati sono quelli della National Ocean and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti, che misura la concentrazione di CO2 in atmosfera. E vi stupite ancora degli effetti? Non sono dati compatibili con l’obiettivoche la stessa ONU si era data a Parigi nel 2015: non superare l’aumento della temperatura media del Pianeta di oltre 2 gradi centigradi (meglio se ci fermiamo a 1,5 dice l’IPCC), abbiamo già superato 1 grado! L’aumento dell’anidride carbonica è direttamente legato alle emissioni antropiche di gas serra, in gran parte generate dalla combustione delle fonti fossili. Secondo i calcoli dell’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), nel 2022 le emissioni globali legate all’energia sono cresciute dello 0,9% sul 2021 arrivando a livelli mai raggiunti prima: 36,8 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente (Gt CO2e). Di queste, 15,5 Gt dipendono dal carbone e 11,2 Gt dal petrolio. E ancora vi meravigliate e pensate che si possa continuare così? Magari ancora per un poco solamente, “poi smettiamo”. Ma non funziona: il dramma del Covid e del conseguente lock down e frenata dell’economia ha chiarito che seppur riducendo le emissioni (in quel caso per una tragedia) per un breve periodo, le concentrazioni in atmosfera non ne risentono anzi continuano ad aumentare.La questione è il carbon budget. Pensate a un secchio: il vostro obiettivo deve essere quello di  non farlo riempire d’acqua e invece c’è un rubinetto da cui esce sempre più copiosa, anche se per un poco riuscite a diminuire il flusso il livello dell’acqua continuerà ad aumentare. Per fortuna in quel secchio ci sono dei buchetti (la capacità di assorbimento della CO2 da parte delle foreste ad esempio) ma non possiamo allargarli più di tanto (in realtà purtroppo li stamo chiudendo, vedi che succede in Amazzonia), l’unica strada è chiuderlo quel rubinetto, Conpolitiche intelligenti che stimolando l’innovazione possano garantire anche a quei popoli che il “benessere da fosssili” di cui abbiamo goduto in qusta parte del mondo loro lo possano raggiungere attraverso altre vie compatibili con la salute del Pianeta su cui diobbiamo vivere tutti.

Ma fin qui abbiamo analizzato un problema “globale” che, noostante tutto, continua ad apparire lontano (magari non ai giovani ma sicuramente alle classi dirigenti troppo attaccate a propri privilegi). Proviamo a cambiare prospettiva e a scendere più sul “locale”. Analizziamo altri inquinanti non solo quelli climalteranti. Che succede quando respiriamo particolato (le poveri sotili) o il biossido di azoto, i composti organici volatili o le diossine? Disastro. E tragedia immediata, non a lungo termine. In Europa, l’inquinamento atmosferico è il più grande rischio per la salute ambientale: lo scrive nei suoi rapporti sulla qualità dell’aria l’Agenzia europea dell’ambiente (di cui fanno parte tutti i paesi dell’Unione Europea , la Turchia, la Norvegia, la Svizzeral’Islanda e il Liechtenstein).

Ad esempio nel 2020, il 96% della popolazione urbana dell’Ue è stato esposto a concentrazioni di particolato fine (PM2,5) superiori al livello guida dell’Oms di 5 microgrammi per metro cubo (µg/m3) di aria. L’Europa Centro-Orientale e l’Italia hanno registrato le più alte concentrazioni di particolato e di benzopirene (un agente cancerogeno), dovute principalmente a combustibili solidi per il riscaldamento domestico e al loro utilizzo nell’industria. E per l’Italia l’Agenzia mette nero su bianco che “la Pianura Padana, nel nord Italia, è un’area densamente popolata e industrializzata con specifiche condizioni meteorologiche e geografiche che favoriscono l’accumulo di inquinanti atmosferici nell’atmosfera”.

Parliamo di morti. L’Aea ha stimato che nel 2020 almeno 238.000 persone sono morte prematuramente nell’Ue a causa dell’esposizione all’inquinamento da PM2,5. L’inquinamento da biossido di azoto ha provocato 49.000 morti e l’esposizione all’ozono 24.000 morti premature. Oltre ai decessi prematuri, l’inquinamento atmosferico comporta costi significativi per il settore sanitario. Ad esempio, nel 2019, l’esposizione al PM2,5 ha portato a 175.702 anni vissuti con disabilità a causa della broncopneumopatia cronica ostruttiva in 30 Paesi europei. L’Aeanon fa sconti neanche nel suo rapporto diffuso nella primavera 2023: l’inquinamento atmosferico provoca più di 1.200 morti premature all’anno tra bambini e adolescenti in Europa e aumenta significativamente anche il rischio di contrarre malattie con il passare gli anni, riduce la loro aspettativa di vita. Ma gli effetti dell’inquinamento atmosferico iniziano ancora prima della nascita, ovvero durante la gravidanza portando a parti prematuri e a nascite di bimbi sottopeso.

Ma non solo la salute umana è colpita, l‘inquinamento atmosferico danneggia anche gli ecosistemi terrestri e acquatici: nel 2020 la concentrazione di azoto era superiore alla norma nel 75% dei casi e secondo quella stessa analisi dell’Aea il 59% delle aree boschive e il 6% dei terreni agricoli erano esposti a livelli dannosi di ozono a livello del suolo. Le perdite economiche dovute all’impatto dell’ozono troposferico sulla resa del grano sono state pari a circa 1,4 miliardi di euro in 35 Paesi europei nel 2019. Numeri che dovrebbero convincere gli agricoltori a impegnarsi in Europa a favore delle iniziative che riducono gli inquinamenti piuttosto che a ostacolarle. Perché se l’agricoltura è stata responsabile della maggior parte (94%) delle emissioni di ammoniaca e di oltre la metà (56%) delle emissioni di metano, le buone pratiche agricole (penso ad esempio quelle promosse dal Consorzio Italiano Biogas per “il biometano fatto bene”) non solo potrebbero ridurre tali emissioni ma potrebbero persino far svolgere un ruolo carbon negative agli agricoltori.

Ma ovviamente, dato il contributo del traffico automobilistico, sono le nostre cità i luoghi più esposti: in nessuna delle 13 grandi città italiane monitorate nell’ambito della campagna Clean Cities(di cui fanno parte Legambiente e Kyoto Club tra gli altri) , rispetta i valori suggeriti dall’Organizzazione mondiale della sanità, sia per quanto riguarda il PM10 che per il PM2. e il biossido di azoto Il PM10 ha una media annuale, eccedente il valore OMS, che oscilla dal +36% di Perugia, passando per città come Bari (+53%) e Catania (+75%), fino ad arrivare al +121% di Torino e +122% di Milano. Situazione ancora più critica per quanto riguarda il PM2.5, dove lo scostamento dai valori OMS oscilla tra il +123% di Roma al +300% di Milano. Male anche per l’NO2: l’eccedenza dei valori medi registrati rispetto al limite dell’OMS varia tra il +97% di Parma fino al +257% di Milano.

Nell’ottobre 2022, la Commissione europea non  a caso ha proposto una revisione della Direttiva sulla qualità dell’aria ambiente, che prevede soglie più severe per l’inquinamento, il rafforzamento del diritto all’aria pulita il rafforzamento delle norme per il monitoraggio della qualità dell’aria e una migliore informazione del pubblico.

Quindi alla domanda iniziale c’è solo una risposta possibile: un soglia sopportabile di inquinamento atmosferico non c’è, e anche ci fosse l’abbiamo abbondantemente superata sia a livello degli effetti locali legati alla nostra salute sia per quelli relativi alla crisi climatica.

Ci diamo da fare per salvarci, o no?

Francesco Ferrante

Vicepresidente kyoto club

 

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