Incenerimento da rifiuti al centro della campagna “unfake news” di Legambiente e La Nuova Ecologia

puibblicato su La Nuova Ecologia

L’inceneritore è green

Falso. L’Unione Europea, che pure come è noto deve sempre cercare compromessi fra interessi economici contrastanti e dei suoi paesi membri spesso in conflitto, su questo tema è chiarissima: l’incenerimento dei rifiuti non può essere compreso nella tassonomia (il suo regolamento che stabilisce cosa è finanziabile e cosa non lo è) perché non rispetta il principio basilare Do not significant harm (non fa danni significativi) all’ambiente e al percorso di decarbonizzazione in cui la UE si è impegnata con obiettivi vincolanti al 2030 per raggiungere net zero al 2050. Una scelta ribadita di recente quando la Commissione Ue rimandò indietro una prima bozza di PNRR preparata dal nostro Governo dove erano previsti, tra gli altri interventi, sia l’incenerimento da rifiuti che l’idrogeno blu (con cattura della CO2) bocciandoli entrambi

Non si tratta di inceneritori ma di “termovalorizzaztori”

La differenza sarebbe che i primi bruciano solo rifiuti mentre i secondi (“virtuosamente”) producono energia elettrica e recuperano calore. Peccato che non esistano più da decenni impianti che si limitino a bruciare rifiuti senza produrre energia elettrica. Infatti in Europa si chiamano tutti “incinerator”: il neologismo solo italiano di “termovalorizzatore” è solo una tipica operazione di greenwashing

L’inceneritore “conviene” economicamente

Non è vero anche per un motivo strettamente legato al precedente. Il Parlamento UE ha recentemente approvato (a larghissima maggioranza) un emendamento al pacchetto Fit for 55 che prevede che l’incenerimento dai rifiuti non sia più esentato dalla partecipazione allo schema ETS (quello che prevede un pagamento per ogni tonnellata di CO2 emessa) già dal 2026. Quindi, siccome il pacchetto sarà definitivamente approvato nei prossimi mesi, anche gli inceneritori pagheranno una cifra che già oggi è 80 euro/ton e probabilmente destinata a crescere quasi raddoppiando così le tariffe di conferimento – oggi intorno a 120/140 – e rendendo l’incenerimento persino più caro dell’assurdo export di rifiuti cui oggi sono condannate alcune città e regioni per mancanza di impianti (quelli davvero utili e convenienti). D’altronde è logico: un inceneritore emette 6/700 grammi di CO2 ogni kWh prodotta quando con l’attuale mix energetico siamo a circa 300 (in diminuzione grazie al progressivo ricorso alle rinnovabili)

L’inceneritore risolve il problema di dover realizzare una discarica e risana quelle “abusive”

Qui siamo davvero alla fantasia al potere purtroppo. Il Governatore siciliano Musumeci ha collegato la sua scelta inceneritorista con la bonifica delle vecchie 500 discariche abusive che avvelenano quella regione: non si capisce davvero alcun possibile nesso. Ma anche pensare che un mega-inceneritore da 600.000 tonnellate non richieda una discarica di servizio è insensato. Le ceneri prodotte sono almeno il 20%, si favoleggia di riutilizzo delle stesse ma attualmente dagli impianti anche più recenti (come quello di Torino) vanno a finire in discarica, e più saranno avanzati i sistemi di filtrazione delle emissioni per ridurne l’impatto inquinante sul territorio circostante, maggiore sarà la percentuale di ceneri contaminate, quindi pericolose che richiederanno una discarica ad hoc (questi sono i “mitici inceneritori di nuova generazione”)

L’inceneritore serve per restituire il decoro alle nostre città

Un argomento popolare specialmente tra gli editorialisti che nella Capitale hanno salutato entusiasti la scelta del Sindaco Gualtieri. Purtroppo per loro sono le cronache di queste settimane nonché l’esperienza vissuta di ciascun cittadino romano a smentirli clamorosamente. Il decoro di una città si assicura con una efficiente organizzazione della raccolta (differenziata e con il porta a porta) a prescindere dal destino finale dei rifiuti. Per i quali sarebbe sempre necessario pensare al loro recupero in un’ottica di vera economia circolare che con l’inceneritore non c’entra affatto

a cura di Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club

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