La politica si rivolta contro il deposito di rifiuti nucleari. Non ce la possiamo fare!

pubblicato su huffintonpost.it

Non ce la possiamo fare. E’ l’unico commento sensato di fronte alle reazioni pressoché unanimi dell’intera classe dirigente politica – parlamentari e persino ministri, amministratori regionali e locali – alla pubblicazione della Cnapi, la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee ad ospitare il deposito dove custodire le scorie a bassa e media radioattività nucleare. Una presunta “élite” che si conferma inadeguata a dirigere alcunché (come peraltro già ampiamente dimostrato dalla balzana, e però più che realistica, idea di aprire una crisi di Governo in questo frangente) e in questo come in tanti altri casi si balocca, senza distinzioni tra destra e sinistra, tra “populisti” e supposti “responsabili”, nel vellicare ogni protesta locale e tutte le forme possibili di “nimby”.

I fatti: dopo oltre 30 anni dall’uscita – provvidenziale – dal nucleare, l’Italia continua trattare i suoi rifiuti nucleari (sia le scorie ereditate da quell’avventura fortunatamente fallita, sia i rifiuti che si producono quotidianamente negli ospedali e nell’industria) in maniera precaria, approssimativa e insicura, tanto che la Commissione Europea dopo averlo annunciato sin dal 2017 si è scocciata di aspettare e da ottobre scorso ha aperto una procedura d’infrazione nei nostri confronti su questo tema.

La colpa dell’immobilismo è in primo luogo di Sogin, la società del Ministero dell’economia incaricata del decomissioning nucleare e che in oltre 30 anni pur avendo speso (buttato via?) 4 miliardi di euro non è riuscita a raggiungere più del 30% dei suoi stessi obiettivi, e che ora prevede di mettere in sicurezza definitivamente il nucleare italiano – udite udite – entro il 2036!

Dentro questa cornice già molto opaca si svolge la vicenda sconcertante del sito da individuare per il deposito per le scorie a bassa e media intensità (quelle ad alta attività, residui delle vecchie centrali,  seguiranno tutto un altro percorso per essere sepolte, ci si augura, in un deposito geologico scelto a livello europeo e di cui auspicabilmente si faranno carico soprattutto quei Paesi che nell’azzardo dell’energia nucleare ci sono tuttora dentro fino al collo). L’Europa giustamente ci chiede di individuarlo e realizzarlo da quasi un ventennio, all’estero (in Spagna, in Francia, Germania) depositi del genere già ci sono e solo un manciata di Paesi (tra gli altri Austria e Croazia oltre a noi) sono in ritardo nella realizzazione del proprio deposito.

Nel 2014 finalmente Ispra, l’Istituto per la protezione dell’ambiente, ha dettato i criteri per l’individuazione del sito. Sono criteri “tecnici” ovviamente, che escludono tutti i territori sismici, vulcanici, non adatti dal punto di vista geologico, ecc. Sulla base di queste linee guida Sogin ha compilato nel 2015 una “mappa” dei siti potenzialmente idonei, su cui una volta pubblicata si sarebbe dovuto aprire il necessario “dibattito pubblico”, cioè la consultazione con tutti i soggetti a vario titolo coinvolti, per arrivare infine alla scelta definitiva del sito anche sulla base di criteri, come la volontà dei territori, più difficilmente “misurabili” ma altrettanto importanti e che investono il livello “politico” della decisione. .

Sulla Carta è stato messo addirittura il segreto di Stato. Evidentemente i ministri dei governi che si succedono da allora capiscono che divulgarla “non gli conviene”. Calenda addirittura prima annuncia su twitter la pubblicazione, poi se ne dimentica.

Temevano l’impopolarità e bisogna dire che avevano visto bene: quando finalmente ieri i ministri Patuanelli e Costa con il sottosegretario Morassut danno il via libera a Sogin per la pubblicazione della Carta, si scatena l’inferno. Ma non sul punto che dovrebbe essere la vera preoccupazione di chi vuole risolvere un problema grave e incancrenito: è sensato affidare a Sogin che si è dimostrata del tutto inaffidabile nel decomissioning nucleare la gestione del delicato percorso di consultazione pubblica che nei prossimi mesi dovrebbe portare alla individuazione definitiva del sito? No, tutti invece si scatenano per dire semplicemente “no”, qui “no pasaran”. I governatori di centrodestra di Sardegna e Basilicata, quelli di centrosinistra di Toscana e Puglia, il presidente dell’Anci Decaro (Pd), persino un ministro dello stesso governo che ha autorizzato la pubblicazione della Carta, Roberto Speranza, che torna per qualche ora “politico della Basilicata”, e poi decine di parlamentari di ogni forza politica (tra le rare voci fuori dal coro, Rossella Muroni e Chiara Braga) pronti a tutto pur di togliere dalla mappa casa loro. Dalla sinfonia di commenti indignati si levano come arte purissima i commenti in successione di Salvini:: “il Governo incapace fa male alla Basilicata”, “il Governo incapace, pericoloso e arrogante anche sul deposito nucleare in Sicilia”, “il Governo si conferma incapace, pericoloso e arrogante anche sul tema del deposito nazionale di rifiuti radioattivi in Toscana”.

Tutte le proteste lamentano la mancanza di una “consultazione preventiva”. La chiede per esempio la deputata di Italia Viva Fregolent, che sfidando il ridicolo parla di una “befana di Stato scaricata sui cittadini”. Ma buon Dio: ci sarà – lo chiediamo prima che agli altri al ministro Speranza che su questo svolge da mesi il suo ruolo delicatissimo “con disciplina e con onore” – una distinzione tra la cornice “tecnica” che la scienza deve offrire ai decisori politici e la decisione che per l’appunto dovrà essere “politica”? Giustamente il sottosegretario Morassut lo ha sottolineato: pubblicare la Carta era è la premessa obbligata per cominciare la consultazione, per questo la scelta del governo è un atto ammirevole di responsabilità. Sembra che nemmeno il Covid abbia insegnato niente da questo punto di vista. Per esempio, in questo caso ci rivolgiamo al presidente della Toscana Giani: perché mai i geologi incaricati di leggere le caratteristiche tecniche dei siti avrebbero dovuto escludere la Val d’Orcia? Saranno piuttosto valutazioni diverse e successive che sconsiglieranno quella scelta, come saranno le difficoltà logistiche di trasporto a suggerire verosimilmente di scartare le isole maggiori e non certo il complottismo vittimista ascoltato in queste ore da Cagliari e da Palermo. E c’è davvero qualcuno che crede, come hanno detto i nostri amici del biodistretto amerino nel viterbese, che il sito andrebbe situato in “un territorio abbandonato, inospitale, privo di vita”? E dove sarebbe mai in Italia un posto così?

I rifiuti nucleari che dovrebbero andare a finire nel deposito sono per buona parte quelli che si producono e si continueranno a produrre quotidianamente, per attività e servizi indispensabili. Sono pericolosi e oggi sono custoditi in circa una ventina di luoghi non adatti, alcuni come Saluggia a rischio alluvione con conseguenze inimmaginabili per il rischio di contaminazione. Vogliamo continuare a convivere con queste “bombe ecologiche” o affrontare in maniera matura la questione come si fa in tutta Europa? La politica sembra avere già fatto la sua sciagurata scelta.

ROBERTO DELLA SETA

FRANCESCO FERRANTE

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