Le rinnovabili in Italia

Capitolo nel Rapporto Green Italia di Symbola e Unioncamere

I record delle rinnovabili
Nel giugno del 2016 la quota di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nel nostro paese ha superato quella provenienti da fonti fossili. E su base annua, con le naturali oscillazioni dovute alla piovosità che incide sull’idroelettrico, è dal 2014 che il contributo delle rinnovabili sulla elettricità consumata in Italia si è stabilizzato intorno al 35-40%. Inoltre l’Italia può vantare il record mondiale – tra i paesi industrializzati – del contributo del solare fotovoltaico al mix elettrico: l’8%!
Numeri impensabili anche solo 10 anni fa, quando nella legislatura 2006-2008 si avviò la riforma degli incentivi che cercava finalmente di colmare il gap che ci vedeva soccombere in qualsiasi confronto europeo. All’epoca avevamo – l’Italia, ‘o paese d’o sole – meno pannelli solari istallati che in Austria, poco eolico e le rinnovabili erano sostanzialmente solo quelle che ci avevano regalato i nostri nonni con le costruzioni delle dighe, e qualche megawatt di geotermico toscano.
All’epoca tutto l’establishment energetico continuava a considerare quello delle rinnovabili un settore di nicchia, che mai avrebbe potuto contribuire significativamente al sistema elettrico e di lì a poco infatti ci si volle imbarcare nuovamente in una avventura nucleare sotto l’egida di Enel.
Il luttuoso incidente di Fukushima e la volontà popolare che si espresse nel successivo referendum fermarono quel progetto (folle anche dal punto di vista economico) e intanto un sistema di incentivi (invero anche troppo generoso) e l’innovazione tecnologica che riduceva drasticamente e rapidamente il costo di conversione in energia elettrica delle varie fonti rinnovabili si incaricarono di smentire le previsioni dei sostenitori delle fossili e andarono anche oltre le speranze dei più ottimisti tra gli ambientalisti e stanno portando anche a livello globale (si veda l’articolo di Gianni Silvestrini sull’argomento in questo stesso rapporto) le rinnovabili a giocare un ruolo estremamente significativo nel sistema energetico.
Gli anni dal 2007 al 2013, nonostante numerosi stop&go dovuti a una politica poco lungimirante, sono stati per le imprese del settore un momento molto positivo. Le edizioni del SolarExpo alla Fiera di Verona diventarono tra gli appuntamenti più rilevanti a livello internazionale per numero di espositori e visitatori, in quegli anni in cui la crisi economica innescata dal fallimento di Lehman Brothers iniziò a mordere il sistema produttivo, il settore delle rinnovabili si dimostrò l’unico anticiclico, arrivando a impiegare oltre 100mila lavoratori e creando sviluppo e ricchezza.
Il talento italiano
Nel 2011su un totale mondiale di 263 miliardi di dollari di investimenti in energie pulite, oltre il 10% (28 miliardi) era nel nostro Paese. E nei cinque anni precedenti nessun altro Paese del G20 aveva registrato tassi di crescita superiori ai nostri nel solare. Insomma eravamo leader mondiali in proporzione alla nostra economia. E le nostre imprese giocavano un ruolo importante. Molto si è detto e scritto sui pannelli fotovoltaici cinesi la cui importazione sarebbe stata favorita da quegli incentivi generosi. Vero. Ma troppo spesso ci si dimentica che in un impianto fotovoltaico il cuore tecnologico non è il pannello ma l’inverter e quelli erano, e sono, soprattutto italiani. Anche nei grandi impianti fotovoltaici cinesi o americani spesso si trovano inverter toscani o emiliani (di Power One o di Santerno ad esempio). E se al valore aggiunto connesso a questo know how tecnologico di cui dobbiamo essere fieri (e che non sarebbe stato possibile costruire senza una politica di incentivi), sommiamo anche ciò che restava nelle tasche degli installatori possiamo calcolare in ben oltre il 70% del valore degli incentivi quello che restava nel nostro Paese. E in quegli anni si è sviluppata una filiera anche sull’eolico con imprese che costruivano turbine e pale, grandi e piccole, dalla filiale italiana di Vestas in Puglia o a Moncada in Sicilia . Insomma un fermento imprenditoriale positivo che, come sempre nel nostro Paese, si basava soprattutto su talento e capacità di piccole e medie imprese. Capacità innovative che sono sopravvissute anche nonostante ritardi e retromarce “politiche”. In almeno due settori assai promettenti per il futuro infatti la tecnologia e la proposta italiana è all’avanguardia mondiale. Il primo è il solare termodinamico: una tecnologia che consente di sfruttare l’energia del sole – immagazzinandola – non soltanto nelle ore di in cui il sole c’è. Grazie a un’idea del nostro Premio Nobel Rubbia, sviluppata dall’Enea, e dalla testarda volontà un’azienda umbra (Angelantoni) oggi è italiana la tecnologia più sicura e promettente che infatti ha già attratto importanti investitori stranieri (per ultimo i giapponesi). Il secondo è il biometano, sicuramente il combustibile “alternativo” che più facilmente può sostituire quello fossile tradizionale. E anche qui è italianissima la proposta del “biometanofattobene” messa a punto da un’equipe di ricercatori e agricoltori organizzati dal Consorzio Italiano Biogas che propone un intelligente e rispettoso rapporto con l’agricoltura e il territorio per uscire dalla competizione food vs. energy. E infine sono italiani quegli imprenditori che comprendendo che in alcune aree del nostro paese (Toscana, Umbria, alto Lazio, Campania) c’è una straordinaria risorsa, quella geotermica, che va sfruttata con attenzione e controllandone l’impatto propongono piccoli impianti a ciclo chiuso non inquinanti e sicuri.
Siamo in piena “rivoluzione energetica” e non a caso quella stessa Enel che voleva fare il nucleare pochissimi anni fa oggi è una delle grandi utilities mondiali più impegnata proprio nelle rinnovabili.

Gli ostacoli
Si potrebbe continuare con gli esempi positivi ma è altrettanto vero che per ciascuno di essi è utile e corretto studiare anche gli ostacoli che ne stanno impedendo il pieno sviluppo. La stagione degli incentivi è finita per il fotovoltaico nel luglio del 2013. E’ finita bruscamente dopo essere stata sin troppo generosa in anni precedenti. Sarebbe stata più logica una curva più dolce, che sul modello tedesco, accompagnasse in discesa gli incentivi con il progresso della tecnologia che faceva diminuire in parallelo i costi dei pannelli. Non si volle scegliere quella strada e il “disaccopiamento” di fatto consentì grandi profitti a qualche grande impresa e una campagna mediatica sui “costi” delle rinnovabili che avrebbero – secondo i cantori di quella campagna – fatto esplodere le nostre bollette. La verità è che i circa 12 miliardi di euro pagati in bolletta da cittadini e imprese per sostenere le rinnovabili sono paragonabili agli oltre 20 miliardi che pagano i tedeschi in un mercato elettrico che è il doppio del nostro. Si può discutere della diversa distribuzione del peso di questi oneri (più sbilanciato sulle famiglie in Germania per non pesare troppo sulle imprese) ma la strategia tedesca della Energiewende ha comunque mantenuto (contrariamente a quanto scelto da noi) gli incentivi per il fotovoltaico se con accumulo perché è quella la nuova frontiera di sviluppo. In Italia scelta opposta. Sino a intervenire in maniera retroattiva, con lo “spalmaincentivi”, su quegli stessi incentivi. Chi volle imporre quella misura nel 2014 sosteneva si sarebbe cosi potuto abbassare del 10% il costo della bolletta! Un obiettivo impossibile da raggiungere è infatti il cosiddetto “risparmio” in bolletta è stato, nel vero senso della parola, “impercettibile”. E invece – come d’altronde ampiamente previsto – quella misura è stato un obiettivo fattore scoraggiante di nuovi investimenti anche esteri, quelli stessi che spesso sono invocati quale elemento che può contribuire al rilancio della nostra economia.
Insomma si è fatto un danno senza ottener in compenso alcun beneficio. E peraltro è discutibile che il costo dell’energia sia un fattore così penalizzate per l’economia italiana.
Già nel 2014 avevamo dimostrato – con una ricerca svolta insieme Legambiente e Kyoto Club – che dai dati Istat si rilevava che il costo dell’energia incide per il 5 per cento della spesa media mensile delle famiglie, ma meno della metà è attribuibile all’energia elettrica. E se dalle bollette fossero spariti d’incanto tutti gli oneri riferiti alle fonti rinnovabili, le famiglie italiane avrebbero risparmiato solo il 3 per mille al mese (7 euro su circa 2.500). Quando invece oltre il 14 per cento della spesa media delle famiglie se ne va per l’automobile e i carburanti.
Marginale è anche il peso del prezzo dell’elettricità sui conti delle imprese manifatturiere, che pure pagano l’energia elettrica un po’ di più della media europea: in quella stessa ricerca , usando i dati di fonte Anie (la Federazione nazionale delle imprese elettrotecniche ed elettroniche aderente a Confindustria), avevamo evidenziato che soltanto per il 3,8 per cento delle nostre imprese il costo dell’energia elettrica supera il 3 per cento del fatturato aziendale; per il 19,2 per cento incide per meno dello 0,1 per cento e per un altro 50 per cento non arriva allo 0,5 per cento dei ricavi.
La polemica sugli incentivi alle rinnovabili ha comportato anche un grave ritardo sull’emanazione del decreto sulle altre fonti (non fotovoltaiche) che , atteso alla fine del 2014, ha visto la luce solo a giugno del 2016 contribuendo così a uno stop negli investimenti e nelle nuove installazioni di rinnovabili nel nostro Paese dal 2014. Un dato in controtendenza con quello che sta succedendo nel resto del mondo.
Inoltre tra gli ostacoli non si possono tacere le difficoltà che molto spesso incontra chi vuole realizzare impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili sul territorio.
Si pensi ai rischi terribili che vengono paventati per la biodiversità ogni volta che si propone la realizzazione di un nuovo impianto eolico (puntualmente smentite da tutte le ricerche scientifiche), o dell’improvviso allarme sul consumo di suolo (dopo aver ignorato cementificazioni selvagge) solo in presenza di qualche pannello solare fotovoltaico (che ovviamente è meglio mettere sui tetti) o anche termodinamico , o alle contestazioni feroci cui vanno incontro progetti di impianti per la produzione di biometano da rifiuti o da scarti agricoli e anche le opposizioni e gli ostruzionismi sulle autorizzazioni subite da piccoli impianti di geotermia a ciclo chiuso di nuova generazione e a emissioni zero.
Che fare
Le prospettive del settore sono comunque positive.
Da una parte la capacità innovativa e tecnologica che abbiamo già richiamato del nostro sistema di imprese piccole e medie e il cambiamento di progettualità della più grande utility elettrica italiana. Dall’altra la spinta che viene dalla necessaria implementazione degli accordi internazionali per combattere i cambiamenti climatici, possono ragionevolmente farci ritenere che nonostante gli ostacoli – politici – la forza della economia sarà quella che trainerà in futuro il settore.
Nel campo dell’efficienza energetica in edilizia, i risultati iniziano a vedersi. E dopo il successo dell’ecobonus – 207 miliardi di investimenti per 12,5 milioni di interventi fra il 1998 e il 2015 come certificato dallo studio Cresme-Camera dei Deputati – che solo nel 2014 (ultimo anno per ci si hanno dati completi) ha prodotto 28,5 miliardi di investimenti e 425mila posti di lavoro tra diretti e indotto, finalmente ci si avvia alla stabilizzazione ed estensione dello stesso. Si potrà infatti finalmente intervenire su interi condomini migliorando notevolmente l’efficacia dell’intervento.
Anche il “conto termico” , l’iniziativa che avrebbe dovuto sostenere il rinnovamento degli impianti termici e quindi favorire le rinnovabili in questo settore, dopo essere stato a lungo fermo al palo (solo poche decine di milioni utilizzati su un fondo di 900 milioni annui) è stato riformato, semplificato e promette finalmente di essere strumento utile per privati cittadini e istituzioni pubbliche.
Insomma la rivoluzione energetica è già in corso. Il nostro Paese può tornare ad esserne protagonista se si scelgono le politiche più lungimiranti e si forniscono gli strumenti – semplificazioni nelle autorizzazioni, promozione dell’autoconsumo di energia prodotta da fonti rinnovabili, regole certe per immissione biometano in rete, stabilità della normativa evitando una volta per tutte qualsivoglia intervento retroattivo scoraggiante di nuovi investimenti – affinché le nostre imprese del settore possano svilupparsi e lavorare anche in Italia e non solo all’estero come capita sempre più spesso a quelle più dinamiche e che sono riuscite ad attrezzarsi alla bisogna.
Una strategia energetica di decarbonizzazione proiettata al 2050 con precise tappe intermedie che ovviamente rispettino gli impresi a livello internazionale è questo il quadro legislativo necessario e urgente da perseguire.

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