L’economia circolare in Italia: eppur si muove

pubblicato nel volume Ambiente Italia 2015

L’Italia è uno strano Paese: in grave crisi economica e sociale, con evidenti difetti strutturali nel suo sistema economico e di governo, un grande Paese che a causa del suo enorme debito pubblico è esposto ai capricci dei mercati finanziari globali, con tassi di disoccupazione giovanili tra i peggiori d’Europa. Eppure un Paese che continua ad essere una “potenza” industriale, il secondo produttore manifatturierio d’Europa dopo la Germania, pieno di eccellenze e non solo quelle scontate nell’immaginario collettivo, dall’agroalimentare alle bellezze paesaggistiche e artistiche, all’alta moda, ma anche in settori assai più “hard” come ad esempio la meccatronica.

Insomma convivono nel nostro Paese un sistema inadeguato e iniziative di ottimo livello che ovviamente, proprio a causa delle deficienze generali “di sistema”, non riescono ad emergere e diventare, come dovrebbero, modello di sviluppo alternativo.

In questo quadro se la intendiamo, come correttamente dovrebbe essere, non come un settore ma come un modello per la modernizzazione e la riconversione dell’economia, la green economy non fa eccezione e in un Paese che generalmente viene visto e si percepisce come in grave ritardo sulle questioni ambientali, può succedere che, quasi inconsapevolmente, su molti indicatori green l’Italia possa vantare prestazioni invidiabili (come si dimostrava nell’edizione 2014 di Ambiente Italia: Economia verde: Italia – Germania è sempre 4 a 3).

E così oggi in campo energetico, un settore dove forti sono le distorsioni che determinano alti costi e le crisi di produzione in cui versano molte centrali termoelettriche, distratti dalle stucchevoli polemiche sul costo dei relativi incentivi, siamo così sciocchi da non rivendicare con orgoglio un record (tra i paesi industrializzati) che ci mette in ottima posizione nella marcia verso società  low carbon: nel 2014 il 38% dell’energia elettrica consumata che proviene da fonti rinnovabili (il 43% di quella prodotta)!

Contraddizioni che emergono persino con maggior chiarezza se usiamo il parametro dell’uso efficiente delle risorse per provare a misurare l’affermarsi dell’economia circolare in quella necessaria riconversione senza la quale non possiamo guardare con fiducia al futuro.

Due i settori che vogliamo analizzare: rifiuti e chimica verde.

 

RIFIUTI

 

Un disastro. La gestione dei rifiuti nel nostro Paese è un disastro: così risponderebbe la stragrande maggioranza degli intervistati in un qualsiasi sondaggio. Questa è la percezione diffusa che trova ampio spazio nelle cronache nazionali, in coincidenza con qualche grande emergenza, e diffusamente, quasi quotidianamente nelle cronache locali. Una percezione più che giustificata dalle immagini di rifiuti abbandonati che ci sono rimaste impresse di Napoli, da quelle, più nascoste sui media, ma ancora attualissime in Calabria e in generale dalle innumerevoli infrazioni a livello comunitario che colpiscono l’Italia. Una situazione drammatica certificata dai dati sul traffico illecito dei rifiuti del Rapporto Ecomafie di Legambiente che ci ricorda il peso della criminalità  organizzata in questo settore. E d’altra parte è un numero, troppo alto, tra i più alti in Europa, che spiega meglio di qualsiasi altro i nostri ritardi: il 41% dei rifiuti continua a finire in discarica. Uno spreco.

Uno spreco tanto più dannoso quanto l’innovazione tecnologica ci permetterebbe invece di recuperare tantissima materia, preziosa in un Paese povero di materie prime.

Eppure anche qui, anche nell’Italia dei rifiuti, se si leggono con attenzione i fenomeni in atto ci sono molti elementi che, se messi finalmente a sistema, ci possono dare speranza.

Un dato generale: negli ultimi quindici anni in questo Paese si è assistito al migliore incremento in Europa del tasso di riciclo e compostaggio dei rifiuti urbani. E infatti sono sempre più diffusi i comuni, interi distretti, dove si raggiungono percentuali di raccolta differenziata molto alti: la maggior parte a nord e in particolare nel nord est, ma anche a sud. Anche nella Campania, per la quale tutti ricordiamo il dramma di Napoli, sono molti i posti dove la raccolta differenziata supera il 60% .

E incrementi spettacolari molto interessanti non riguardano solo le piccole realtà  , dove certamente è più facile organizzare efficaci sistemi porta a porta.

Prendiamo le nostre due più grandi città  : Milano e Roma.

Milano ha raggiunto il 50% di raccolta differenziata (la migliore metropoli europea) con un balzo del 20% in 10 anni, dal 2004 al 2014, grazie soprattutto all’introduzione della raccolta separata della frazione organica nell’ultimo triennio.

Ma anche a Roma – dove certo non mancano polemiche e scandali legati alla raccolta dei rifiuti – grazie alle scelte degli ultimi due anni, che hanno permesso di raggiungere 700.000 cittadini con il porta a porta, a fine 2014 si è arrivati a un più che dignitoso 43% di raccolta differenziata.

Risultati tanto più interessanti se li si paragonano con quelli delle altre capitali europee: Berlino 42%, Londra 44%, Vienna 33%, Madrid 17% e il misero 13% di Parigi!

E più in generale oggi nel nostro Paese 3 imballaggi su 4 vengono recuperati (superando così l’obiettivo europeo del 60%) e se prendiamo in esame uno dei materiali di cui siamo privi come materia prima e che comunque richiede tantissima energia per essere prodotto, l’alluminio, i numeri sono assai confortanti: l’Italia al primo posto in Europa con oltre 878mila tonnellate di rottami riciclati e la totalità  dell’alluminio prodotto in Italia proviene dal riciclo. Considerando solo gli imballaggi in alluminio, sono state recuperate 47.500 tonnellate, pari al 70,3% dell’immesso sul mercato (67.500 ton) e, non considerando la piccola quota che va in recupero energetico, grazie al riciclo di 43.900 tonnellate di imballaggi in alluminio sono state evitate emissioni serra pari a 370mila tonnellate di CO2 e risparmiata energia per oltre 160mila tonnellate equivalenti petrolio.

Numeri, quelli sulla raccolta differenziata in crescita e sul recupero di materia che ci dicono che “si può fare”. Possiamo togliere dal circuito illegale i rifiuti, smetterla di consumare territorio facendo buchi per seppellirli e considerarli invece risorsa da recuperare. Certo dobbiamo spingere sulla raccolta separata della frazione organica , dobbiamo realizzare i relativi impianti di compostaggio e digestori (sconfiggendo anche ingiustificate sindromi nimby) e dobbiamo smetterla però anche di vagheggiare di nuovi termovalorizzatori ormai inutili (molto meglio recuperare la materia grazie anche alle innovazioni che rendono più convenienti questi processi) come purtroppo ha continuato a fare il Governo nel recente decreto “sblocca-Italia”.

 

CHIMICA VERDE

 

Molte volte abbiamo scritto che il boom italiano degli anni 60 si è fondato soprattutto su due successi industriali di quegli anni: l’automobile e la chimica, la Cinquecento e il Moplem. Il mondo cambia la storia va avanti e, tralasciando qui l’automobile, dobbiamo osservare che quella chimica del petrolio praticamente qui non esiste più. Le produzioni delocalizzate, in paesi con costi della manodopera più convenienti o a “filiera corta” , a “chilometri zero”, produttori essi stessi della materia prima fossile.

Dietro si sé quella chimica ha lasciato crisi occupazionali e drammatiche situazioni ambientali ancora tutte da bonificare che continuano a essere causa di assai rilevanti danni alla salute dei cittadini di tanti territori. Il ritardo nelle bonifiche è una delle colpe senz’altro più gravi del sistema industriale e della politica nel nostro Paese.

Eppure, anche qui, qualcosa si muove.

Questo paese è all’avanguardia nel mondo nella ricerca e nelle applicazioni di una “nuova” chimica, quella che parte non più dal petrolio ma da materie prime vegetali e rinnovabili.

Quella che è entrata nella nostra quotidianità  con i sacchetti di plastica biodegradabile che finalmente si stanno diffondendo grazie al divieto introdotto nel 2011 di commercializzazione di quelli che biodegradabili non sono. Oggi ci sono in commercio ancora circa il 50% di sacchetti illegali e speriamo che rapidamente questa quota diminuisca quando finalmente si inizieranno ad applicare le sanzioni previste dalla legge. Ma è comunque da sottolineare che la recente direttiva europea sulle buste da asporto (gli shopper) che consente ai paesi di scegliere tra norme di natura fiscale e divieti, si pone come obiettivo quello di ridurre nei prossimi anni del 50% il consumo di shopper non biodegradabili. Un obiettivo, che di fatto l’Italia grazie a quella scelta di qualche anno fa, ha già  raggiunto prima ancora che la direttiva entrasse in vigore. Un caso più unico che raro in un Paese che, come si ricordava prima, vanta il record delle infrazioni europee in questo campo.

Così grazie al talento dei ricercatori che hanno saputo arrivare alla plastica partendo dai vegetali, alle capacità  imprenditoriali di un’azienda italiana – la Novamont, alla scelta di imporre quel divieto (tanto osteggiato dalle solite lobby), oggi sono numerosi gli impianti e i centri di ricerca che lavorano nel Lazio, in Umbria, nel Veneto, in Piemonte e si può persino pensare alla riconversione di uno di quei poli chimici ormai decotti e destinati alla chiusura come sarebbe stato Porto Torres, che potrà  sopravvivere proprio se si riusciranno a fare le bonifiche indispensabili e si porterà  a termine quella riconversione già  avviata degli impianti, basandosi sulla chimica verde.

E anche sui biocombustibili di seconda generazione, quelli non concorrenziali con coltivazioni food e che si basano sull’utilizzo di residui e coltivazioni dedicate, che sostituiscono i combustibili fossili siamo all’avanguardia: a Crescentino è già  in funzione l’impianto di Mossi&Ghisolfi e quell’azienda ha in programma di realizzare nuovi impianti che potranno dare risposte concrete (e sostenibili) in territori a rischio di desertificazione industriale.

Imprese che portano avanti queste sfide in un quadro istituzionale che non le aiuta e che a volte anzi le ostacola.

 

E così torniamo all’inizio a quelle contraddizioni fra situazione generale non positiva, in crisi, incapace troppe volte di fare le scelte radicali necessarie, e le eccellenze che si battono per imporsi su questa strada.

Se saremo in grado di sciogliere positivamente queste contraddizioni potremo imboccare la via dell’unico futuro possibile e auspicabile quello green e circolare altrimenti ci condanniamo a una sopravvivenza assai difficile

 

Francesco Ferrante

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