Ma quali semplificazioni?

pubblicato su qualenergia.it

Quando è stato chiaro che l’emergenza Covid tra i suoi effetti ne avrebbe potuto avere anche uno positivo, finalmente il Governo avrebbe affrontato il nodo delle “semplificazioni”, tra i settori che si sono animati e hanno guardato con grande speranza all’iniziativa governativa uno dei più entusiasti era quello delle fonti rinnovabili. E’ infatti ormai evidente che il vero ostacolo allo sviluppo delle fonti rinnovabili e pulite non è tanto la riduzione degli incentivi ma piuttosto le procedure autorizzative – e molto spesso il nimby che colpisce gli impianti eolici, fotovoltaici, da biomasse, idroelettrici e geotermici. Il Coordinamento FREE (che riunisce tutte le associazioni di imprese delle rinnovabili e dell’efficienza energetica) aveva di recente calcolato che al ritmo autorizzatorio attuale ci vorrebbero oltre 60 anni per raggiungere gli obiettivi che il, seppur timido e già da aggiornare, PNIEC fissa al 2030. Tutti a parlare di decarbonizzazione, green economy e green new deal e poi il settore più vitale è fermo per le incrostazioni della nostra legislazione sul tema. Quale migliore occasione quindi per togliere paletti incomprensibili e vetusti e, nel necessario rispetto dell’ambiente e del paesaggio, finalmente consentire che il fotovoltaico si possa realizzare anche a terra, laddove non danneggia l’agricoltura e/o rendendolo compatibile con le attività agricole? Che si possano rinnovare i parchi eolici potenziandoli senza dover rifare tutto il procedimento autorizzativo laddove insistano sullo stesso territorio? Consentire lo sviluppo dei piccoli impianti idro e geotermici che non hanno alcun rilevante impatto? Agevolare la conversione degli impianti a biogas per la produzione di energia elettrica in quelli che a partire da best practices agricole producano biometano?

Niente da fare. Alla delusione provocata dalla lettura del provvedimento proposto dal Governo che non affrontava nessuno di questi nodi si è aggiunto il vero e proprio sconcerto per l’azione del Senato

Pochi miglioramenti dovuti sostanzialmente all’azione del Presidente della Commissione Industria, il Senatore Girotto che è riuscito a ottenere ad esempio, una semplificazione significativa per la realizzazione degli accumuli per le rinnovabili. Qualche altro “atto dovuto” quale per esempio ammettere finalmente agli incentivi impianti fotovoltaici da realizzarsi su cave o discariche dismesse a prescindere dalla destinazione d’uso di quell’area e poco più. Niente di niente sui nodi più importanti richiamati prima.

Gli emendamenti elaborati da alcuni senatori che avevano ascoltato i problemi reali delle imprese del settore sono stati respinti con parere contrario del Governo. Ministro Patuanelli lo sa che il suo ministero nel migliore dei casi è distratto se non sempre sospettoso? Ministro Costa lei lo ha capito e lo ha spiegato ai suoi uffici che quello delle rinnovabili dovrebbe essere il “suo” terreno da difendere e non da ostacolare? Dario Franceschini hai intenzione di intervenire sull’approccio del suo ministero che gioca sempre contro? D’altronde è rimasto storico il parere contrario di una Soprintendenza su una tettoia fotovoltaica dopo avere autorizzato il sottostante parcheggio in area di pertinenza di una stazione di servizio autostradale: asfalto e automobili non disturbano il paesaggio, un pannello fotovoltaico invece sì?

In compenso però con emendamenti del PD si agevola lo stoccaggio di CO2 (il CCS che interessa l’ENI) e si riducono le royalties sulle trivellazioni, e grazie a un emendamento di Forza Italia (approvato anche dalla maggioranza) si semplifica il processo autorizzatorio per gli oleodotti (sic!)

Peggio che un’occasione persa. La forbice tra dichiarazioni altisonanti su green new deal e le norme concrete si allarga tanto da far apparire le prime vero e proprio green washing. Ci si chiede se al Governo e tra le stesse forze di maggioranza ci si renda conto che non solo ogni obiettivo europeo così risulterà irraggiungibile, ma se la continua mortificazione di un intero settore non significherà la fuga di imprese all’estero. Sta già succedendo e peraltro non è un mistero che il nostro “campione” Enel, la più grande utility al mondo nelle rinnovabili, investe per il suo sviluppo all’estero e non tra le mura domestiche.

Noi non molliamo e continueremo a chiedere un cambiamento di rotta radicale e immediato, ma lo sconforto è innegabile

 

Francesco Ferrante

Vicepresidente Kyoto Club

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