Plastica.

Plàstica sostantivo femminile che deriva dall’aggettivo plastico di origine greca
πλαστική (plastikos) (formare, comporre, modellare, plasmare). Si dice dell’arte
del plasmare, di modellare materiali plastici creando figure, oggetti. In medicina
è un’operazione chirurgica per ricostruire una parte del corpo. In generale è
l’insieme di diversi polimeri oggetti di origine chimica diversa, di uso quotidiano.

Da “Le parole della transizione ecologica. Un lessico per l’economia circolare” a cura di Roberto Cavallo con Maria Napoli, Emanuela Rosio, Roberto Della Seta. Edizioni Ambiente

Plastica, un materiale formidabile. Per la sua duttilità, leggerezza, resistenza. Caratteristiche che ce l’hanno fatta apparire per molto tempo quasi “insostituibile”.

E una particolare plastica, il Moplen inventato dal nostro Giulio Natta, che per questo vinse il Premio Nobel,  è stato il protagonista, simbolico quanto concreto, del boom economico degli anni ’60 nel nostro Paese insieme alla Fiat 500.

Le caratteristiche principali del Moplen, infatti rappresentano bene il successo generale della plastica: il polipropilene isolattico (questo il suo nome scientifico) ha infatti una rilevante resistenza meccanica, la sua produzione è poco costosa, ed è una delle materie plastiche più utilizzate specialmente per tubi di scarico e nei casalinghi. E proprio nei casalinghi la sua produzione comportò una vera e propria rivoluzione perche portò il colore nelle nostre cucine e negli oggetti di uso comune. Chi oggi ha più di 60 anni non puo’ dimenticare i Caroselli di Gino Bramier: “E mo’, e mo’, e mo’….Moplen!”.

Ma da una parte quelle caratteristiche positive (duttilità e quasi indistrubilità) che ne hanno favorito un utilizzo eccessivo (si pensi al monouso su cui anche l’Europa si è convinta a porre un freno) e dall’altra la sua origine (fossile) e l’elevato impatto ambientale della sua produzione si sono rivelati il suo tallone d’achille ed è quindi prevedibile – anzi sta già succedendo –  che nella transizione ecologica che ci guiderà verso una compiuta economia circolare il suo impiego si ridurrà molto e sarà sostituita da altri materiali, la cui origine sarà vegetale e rinnovabile e non più fossile e il cui destino finale sarà tornare al suolo attraverso la raccolta differenzata dell’umido e la sua digestione (con o senza ossigeno) che lo trasforma in compost da utilizzare in agricoltura.

E siccome la Storia non sempre è beffarda, anche questo come il Moplen, è un brevetto italiano e la ricercatrice/manager che dobbiamo ringraziare, anche questo segno dei tempi che cambiano, è una donna, e si chiama Catia Bastioli.

La storia di questa “transizione plastica” è ormai lunga. Quando mi avvicinai a Legambiente alla fine degli anni ’80, le aree in cui l’inquinamento era più elevato erano proprio quelle dove erano i poli chimici, che non a caso successivamente sono diventati tutti SIN (Siti d’Interesse Nazionale) da bonificare, e le battaglie più dure del movimento ambientalista erano contro le produzioni più impattanti, quali per esempio quelle con il cloro – il PVC – a Porto Marghera. E ricordo il coraggio di Gabriele Bortolozzo operaio in quel petrolchimico da 1956 che si dichiarò “obiettore di coscienza” proprio contro quel tipo di lavorazioni che erano cancerogene come dimostrato anche da una lunghissima vicenda giudiziaria. Quelle produzioni oggi sono molto ridotte nel nostro Paese, sia grazie alle normative ambientali che sono migliorate, sia per l’evoluzione del mercato che ha delocalizzato le produzioni più impattanti in paesi dove la manodopera costa meno o comunque più vicini a dove si estrae la materia prima (il petrolio), anche questo un caso di “filiera corta”. Qui sono rimaste lavorazioni di chimica fine e verrebbe da dire che si sarebbe potuta “governare” meglio quella transizione, riducendo il devastante impatto sociale in termini di riduzione di posti di lavoro, se si fosse dato retta trent’anni fa a chi già la vedeva e non ci si fosse ostinati a difendere produzioni indifendibili (l’Acna di Cengio forse il caso più eclatante di quegli anni). Resta ovviamente da completarla quella “rivoluzione chimica” perché forse questo è il settore dove è stato più eclatante il “trasferimento d’inquinamento” che avvelena , spesso in assenza di controlli, paesi più poveri o quelli che vogliono bruciare le tappe per conquistare il benessere anche a costo di ripetere gli stessi errori commessi da noi.

E nella rivoluzione ci può dare una mano di nuovo l’innovazione.

L’associazione del cigno verde in quegli stessi anni (fine ’80 del secolo scorso), aveva appena lanciato la campagna “Comuni deplastificati” che, sull’onda del successo di quella dei “Comuni denuclearizzati” che aveva portato al vittorioso referendum del 1987, in cui si chiedeva ai Comuni di fare ordinanze per vietare, prima le centrali nucleari, poi la commercializzazione di sacchetti e/o bottiglie di plastica, nel proprio territorio. Una campagna di propaganda, priva di effetti concreti, perché senza un quadro normativo di riferimento quelle ordinanze non reggevano di fronte ai ricorsi dei produttori. E per questo vent’anni dopo, diventato Senatore e ancora Direttore Generale di Legambiente (sì, per qualche mese mantenni un doppio incarico che però in quel caso si rivelò assai fruttuoso) portai a termine quella campagna con un emendamento alla Legge Finanziaria del 2007 che avrebbe vietato i sacchetti di plastica che non fossero biodegradabili e compostabili dal 2010. Un divieto che per entrare in vigore dovette superare le resistenze (ovvie) dei produttori di plastica che ottennero una proroga di un anno, e quelle – meno ovvie – della Commissione Europea che sosteneva che il nostro divieto fosse un vulnus al “sacro principio” del mercato unico. Alla fine riuscimmo a far prevalere la “più sacra” (anche per gli stessi Trattati europei)  difesa dell’ambiente, e quel divieto per una volta – sulle normative ambientali di solito arranchiamo in ritardo –  ha reso il nostro Paese battistrada in Europa nel superamento dell’”usa e getta” e già oggi noi abbiamo superato quel target che l’Europa si da per i prossimi anni. Se infatti l’Europa vuole ridurre del 50% l’uso di sacchetti , noi li abbiamo già ridotti del 60% da quando il divieto è entrato in vigore.

Quel divieto, che più di recente grazie all’iniziativa parlamentare di Ermete Realacci, abbiamo esteso a cotton fioc e microplastiche nella cosmesi, ha ottenuto tre risultati: riduzione netta dell’inquinamento (i sacchetti sono praticamente spariti dal dumping diffuso nonostante ci siano ancora non insignificanti sacche d’illegalità), diffusione di pratiche più virtuose di comportamento individuale (“porta la sporta”), promozione di un settore industriale sostenibile, la “chimica verde” appunto, in grado offrire una via di riconversione possibile alla chimica nella transizione ecologica verso l’economia circolare.

Dal 2012 a oggi gli operatori del settore bioplastiche ne nostro Paese sono passati da 143 a 278, occupano già direttamente circa 3.000 lavoratori e producono 110.00 tonnellate di manufatti compostabili: un fatturato di quasi 1 miliardo di euro.

Insomma la strada è tracciata l’utilizzo della plastica si ridurrà e si limiterà a quegli impieghi dove i suoi vantaggi continuano a essere insuperabili, memtre per molti impieghi , a partire dal monouso, sarà sostituita da altri materiali con il suffisso “bio”, che nella decarbonizzazione che nei prrossimi trent’anni ci porterà all’eliminanzione completa dei fossili, “keep it in the ground”, la faranno da padrone, protagonisti di questa nuova rivoluzione industriale fossil free

Francesco Ferrante

Vicepresidente Kyoto Club

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