Presidente Meloni: quella non era destra democratica

pubblicato su huffngtonpost.it

Giorgia Meloni è nata nel 1977, il suo apprendistato politico – nel Fronte della Gioventù, organizzazione dei giovani del Movimento sociale italiano – è cominciato negli anni ’90, all’immediata vigilia del passaggio tra prima e seconda Repubblica. Dunque la sua biografia nemmeno lambisce la stagione più buia, anni ’70 e primi ’80, dello scontro violento in Italia tra gruppi giovanili di destra e di sinistra. Oggi Meloni è presidente del consiglio a capo di una coalizione di centrodestra, prima donna a ricoprire questo incarico dall’unità nazionale: un traguardo che ha raggiunto – usiamo una parola che le è molto cara – per “merito” personale, mandando in frantumi come ha detto nel suo primo discorso d’investitura un tetto di cristallo che ha visto succedersi in quel ruolo dal 1861 a oggi solo maschi (poco meno di un centinaio) e che sembrava infrangibile.

Detto ciò, e aggiunto che per noi accusare Giorgia Meloni di “fascismo” è del tutto improprio – Meloni è una leader conservatrice con venature sovraniste, ma il fascismo con le sue idee non c’entra nulla –, l’ascolto del suo intervento alla Camera di martedì ci lascia con un dubbio: il presidente del consiglio in carica conosce poco o peggio tende a manipolare la storia della destra in cui si è formata politicamente, la destra del Movimento sociale italiano.

Ha detto Meloni in un passaggio significativo, ma poco ripreso nelle cronache giornalistiche, del discorso con il quale ha chiesto la fiducia del Parlamento: “Ho conosciuto giovanissima il profumo della libertà, l’ansia per la verità storica il rigetto per qualsiasi forma di sopruso o discriminazione proprio militando nella destra democratica italiana, una comunità di uomini e donne che ha sempre agito alla luce del sole e a pieno titolo nelle istituzioni repubblicane, anche negli anni più bui della criminalizzazione e della violenza politica, quando, nel nome dell’antifascismo militante, ragazzi innocenti vennero uccisi a colpi di chiave inglese”.

Queste parole mistificano la realtà.

Il Movimento sociale italiano non si può definire “destra democratica”: era un partito nato all’indomani della Liberazione in rivendicata continuità con il fascismo repubblichino, dunque è azzardato prenderlo a simbolo del “rigetto per qualsiasi forma di sopruso o discriminazione”.  Presente con propri eletti in Parlamento dal 1948, il Movimento sociale non si è mai riconosciuto nella Costituzione repubblicana e tanto menonell’eredità morale della Resistenza che della Costituzione e in generale della democrazia italiana è stata la base fondatrice. Naturalmente, vista la sua natura, aborriva l’antifascismo: parola mai richiamata da Meloni nel suo intervento come “valore”, citata al contrario nel passaggio riportato come “disvalore”.

Ancora, negli anni nei quali in Italia giovani di sinistra e di destra si sparavano, e anche uccidevano, uno con l’altro, vi furono ampie zone di oggettiva “contiguità” tra appartenenti al Movimento sociale e gruppi violenti dell’estrema destra, gli stessi direttamente coinvolti nella stagione terribile delle stragi (piazza Fontana a Milano, piazza della Loggia a Brescia, treno Italicus, stazione di Bologna…) in cui ebbero una parte ancora oscura apparati dello Stato. Chiunque abbia vissuto quell’epoca da “giovane politicizzato” di sinistra o di destra – come noi che scriviamo – può citare decine di episodi tragici che tale continuità attestano.

E’ verissimo, come ha ricordato Meloni, che a destra “ragazzi innocenti vennero uccisi”. I nomi – da Sergio Ramelli ai fratelli Mattei – sono scolpiti nella storia tragica di quel tempo, accanto ai nomi – da Walter Rossi a Valerio Verbano – di assassinati sul fronte opposto.

Ecco, a noi pare che questa parte del discorso di martedì di Giorgia Meloni, e la sua ostinazione nell’ignorare la Resistenza quale atto di fondazione della Repubblica, non faccia onore né alla verità storica né alla credibilità democratica di Meloni stessa. Che non è fascista, ripetiamo, ma nei suoi giudizi e nelle sue ricostruzioni su ciò che fascismo, e neofascismo, sono stati, forse tradisce un’”appartenenza sentimentale” da cui farebbe bene a liberarsi.

 

Roberto Della Seta

Francesco Ferrante

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