Rinnovabili a due velocità

capitolo del rapporto Green Italy 2021 della Fondazione Symbola

La lepre e la tartaruga. Così si potrebbe riassumere la situazione delle rinnovabili in Italia. La lepre rappresenta la velocità cui dovremmo andare nell’installazione di nuovi impianti da fonti rinnovabili per rispettare gli impegni che abbiamo sottoscritto in Europa per i target di riduzione delle emissioni di CO2 al 2030 e quelli – forse meno vincolanti sul piano legale, ma più stringenti e decisivi – che sottoscrivemmo ormai nel 2015 a Parigi insieme ai Paesi di tutto il mondo. La tartaruga è invece la nostra velocità reale.
Una situazione paradossale perché peraltro è conclamato che le rinnovabili “convengono”, sia dal punto di vista strettamente economico, sia per la concreta opportunità di creazione di nuovi posti di lavoro. E non a caso l’Unione Europea, prima ancora della tragedia pandemica, che ha poi portato all’imponente piano Next Generation EU in cui più di un terzo dei fondi è destinato alla transizione ecologica, aveva puntato sul Green Deal, incentrato su rinnovabili, efficienza ed economia circolare, per rilanciare il proprio ruolo nel mondo globalizzato. E l’Italia invece arranca. Almeno dal 2014, quando alcune scelte del governo di allora iniziarono a mettere paletti allo sviluppo delle rinnovabili, nulla si è fatto per semplificare il nodo di procedure autorizzative troppo lunghe e farraginose.
Oggi la situazione è quella ben sintetizzata dal Presidente del Consiglio Mario Draghi nel suo discorso alle Camere con cui ha presentato il nostro PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) quando ha ricordato che il Paese dovrebbe marciare ad un ritmo di 7 GW (7.000 megawatt) di nuovi impianti rinnovabili all’anno fino al 2030, ma siamo solo a 0,8 GW. In realtà, avendo perso ormai anche il 2021, il ritmo a cui dovremmo procedere è aumentato ancora e dovremmo arrivare almeno a 8 GW/anno di nuove rinnovabili: fotovoltaico ed eolico innanzitutto, ma anche geotermico (a ciclo chiuso), biomasse (sostenibili), biometano fatto bene, mini-idroelettrico, e nuove opportunità che ci offrirà l’innovazione tecnologica nel prossimo futuro che non potremo permetterci di sprecare come abbiamo fatto sino adesso con il solare termodinamico proposto dal Premio Nobel Rubbia.

Costi sempre più competitivi. I dati
Troviamo conferma nei dati che i costi della conversione in energia elettrica delle fonti rinnovabili continua a diminuire e nel 2020, per esempio, quello del fotovoltaico utility scale è sceso del 7% in un anno, quello dell’eolico offshore del 9% e a terra del 13%.
Ma è tutta la decade 2010-2020 che ha visto un crollo spettacolare di quei costi.
Il costo del fotovoltaico utility scale è addirittura sceso dell’85% e oggi il LCOE (Levelised cost of electricity) medio pesato a livello globale è di 0,057 $/kWh, dato che il costo dell’installato è crollato da circa 5000 dollari per kW a meno di 1000. D’altra parte, nel 2010 si installavano nel mondo appena 42 GW e l’anno scorso più di 700: oltre all’innovazione che li ha resi più efficienti, sono già più che evidenti le economie di scala. Ma anche il fotovoltaico di piccola taglia ha avuto un calo analogo: se nel 2010 la media LCOE del fotovoltaico residenziale in Australia, Germania, Italia, Giappone e Usa oscillava tra i 0,304 $/kWh e 0,460 $/kWh, oggi siamo tra un minimo di 0,055 $/kWh, paragonabile al costo utility scale, e un massimo di 0,236$/kWh che comunque è una riduzione del 50% in 10 anni.
Anche per l’eolico si sono registrate spettacolari riduzioni dei costi: del 56% di quello a terra per cui il LCOE oggi è solo 0,039 $/kWh e del 48% di quello offshore (LCOE 0,084 $/kWh).
Non sono quindi i costi l’ostacolo alla realizzazione di un sistema elettrico completamente decarbonizzato che, insieme alla indispensabile elettrificazione del sistema energetico nel suo complesso, possa rendere credibile l’obiettivo di azzerare le emissioni di anidride carbonica entro la metà di questo secolo. Una rivoluzione che sembrava impossibile appena un decennio fa e di cui dobbiamo ringraziare l’innovazione tecnologica, la comunità scientifica (IPCC) che non ha mai smesso di mettere in guardia i decisori politici sulla crisi climatica in atto, e forse anche quelli che come gli ambientalisti in tutto il mondo da oltre trent’anni si battono per “fermare la febbre del Pianeta” e promuovere le rinnovabili. Tanto che ormai persino le istituzioni finanziarie come le banche centrali e i fondi d’investimento privati non possono non tenere conto del tema nelle loro scelte strategiche.

Le rinnovabili avanzano in Italia, ma non abbastanza

I target di riduzione delle emissioni, di aumento delle rinnovabili e dell’efficienza energetica che l’Europa si è data sono senz’altro ambiziosi se paragonati a quelli del resto del mondo, anche se per gli ambientalisti non ancora sufficienti.
Ma tralasciando gli obiettivi, cosa sta succedendo nella realtà?

In Italia nel 2020 la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è arrivata al 41,7% del totale della produzione interna (Figura 2) e ha soddisfatto il 38% dei consumi, – su una richiesta di energia elettrica pari a 302.751 GWh (Figura 3) – nonostante non siano state più fatte dal 2014 politiche attive concrete di promozione delle rinnovabili. La restante parte di richiesta di energia elettrica è stata soddisfatta al 51% dalla produzione da fonti energetiche non rinnovabili, e per l’11% dal saldo estero – con importazioni pari a circa 40.000 GWh e esportazioni di 7.587 GWh. Sono stati installati meno di 1000 MW di nuovi impianti da fonti rinnovabili, di cui 750 MW di fotovoltaico. Un ritmo sicuramente troppo lento, tanto che il Coordinamento Free (Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) ha calcolato che ci vorrebbero più di 60 anni di questo passo per centrare gli obiettivi al 2030 del PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) in vigore, i cui obiettivi peraltro andranno adeguati al rialzo dati i nuovi target europei. Ma complessivamente la potenza installata da rinnovabili supera 55 GW ossia circa il 45% del parco generazione italiano come nel 2019. E si deve considerare che di quei 55 GW, solo 18 GW sono di idroelettrico “storico”, gli altri 37 MW sono nuove rinnovabili. Inoltre anche nel 2020 non vi è stato alcun incremento di potenza termoelettrica installata: il fossile si è fermato.
Figura 2Andamento della produzione da fonti energetiche rinnovabili (FER) e dettaglio fonti energetiche rinnovabili
Anno 2020 (% da FER su produzione totale netta, TWh, % fonte energetica su totale rinnovabili)
Fonte: Terna
Figura 3: Andamento richiesta di energia elettrica e composizione fabbisogno
Anno 2020 (% variazione con il 2019, TWh, % fonti)
Fonte: Terna

In positivo è molto importante che nel 2020, seppur considerando il drammatico calo dei consumi energetici dovuto ai lockdown imposti dalla pandemia (4% su base annua, il 13% ad aprile), le fonti di energia rinnovabile in Europa hanno generato il 38% di elettricità, incremento sostanziale in confronto al 2019 (34,6%), superando per la prima volta la produzione da combustibili fossili, i quali sono scesi al 37%. In Italia, questo sorpasso non è ancora avvenuto (Figura 4) ma durante la crisi dovuta al lockdown provocato dal Covid-19, – per cui ad aprile 2020 la richiesta di energia è stata del -17,5% rispetto al 2019 – le rinnovabili hanno prodotto più della metà dell’elettricità che consumavamo senza che ciò abbia creato alcun problema alla tenuta della rete. I consumi di elettricità in Europa hanno avuto infatti un calo drammatico nella prima metà dell’anno in cui si è osservato però un incremento notevole della produzione di rinnovabili che ha superato quella fossile.
Figura 4: Elettricità generata in Italia
Anno 2011-2020 (% generazione totale elettricità)
Fonte: Terna

I leader europei nella produzione di energie da fonti rinnovabili hanno dimostrato che il cambiamento è possibile qualora ci sia una volontà politica sostenuta, mentre alcuni Paesi continuano a rimanere indietro nonostante eccellenti condizioni meteorologiche. La Danimarca ha generato il 62% della sua elettricità da eolico e solare nel 2020, quasi il doppio del secondo Paese in classifica, l’Irlanda. La Germania si inserisce in terza posizione, mentre la Spagna ha superato il Portogallo al quarto posto. Sette Paesi hanno visto a malapena una piccola crescita dal 2015: Portogallo, Romania, Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria e ahimè l’Italia che invece aveva avuto uno degli incrementi migliori dal 2007 al 2013, mentre dal 2015 al 2020 ha registrato una crescita solo del 4% (Figura 5).
Figura 5: Andamento generazione energia da solare e eolico UE-27
Anno 2010-2020 (% energia solare e eolica su produzione di elettricità)
Fonte: Ember

Grazie alla diminuzione del carbone, l’elettricità europea è del 29% più pulita rispetto al 2015. L’intensità di carbonio è scesa in Italia da 283 grammi di CO2 per chilowattora nel 2015 a 212 grammi nel 2020, con una media di 226 grammi per l’UE-27 che ha registrato un calo del 10% solo nel 2020 (Figura 6). Malgrado la produzione di carbone in Europa si sia quasi dimezzata, oltre il 40% della sua riduzione è stata compensata da un aumento della produzione di gas e non dalle rinnovabili, rallentando così in parte la riduzione dell’intensità di CO2.

Figura 6: Intensità CO2 – UE 27
Anno 2015 e 2020* (grammi di CO2 per kilowattora)
Fonte: Ember
*In figura la riduzione dell’intensità carbonica (quanta CO2 si emette per unità di prodotto) dal 2015 (in nero) al 2020 (in verde) nei singoli Paesi membri e nell’Europa a 27.

Italia, patria degli ostacoli normativi, culturali e sociali
E l’Italia? Il nostro Paese si è fermato, come abbiamo visto anche dal confronto con gli altri Paesi europei. Nel 2007 realizzammo una riforma complessiva del sistema di incentivazione delle rinnovabili che, fino a quando fu smantellata a partire dal 2014, ci consentì di colmare un gap inspiegabile con il resto del mondo: erano installati meno pannelli solari nel grande “Paese del sole” che nella piccola e uggiosa Austria. Riuscimmo in quegli anni a raggiungere anche qualche record, come per esempio quello del Paese industrializzato con la maggiore percentuale di elettricità da fotovoltaico. Poi, una campagna contro le incentivazioni (che si guardava bene da affrontare i ben più alti, gravosi e dannosi sussidi alle fossili) bloccò quello sviluppo. È bene ricordare che il nostro Paese non ha speso più della Germania per incentivare le rinnovabili e che qualsiasi innovazione tecnologica ha bisogno di un sostegno per potere partire.
Oggi, come si è visto, i costi sono tali che per molte fonti rinnovabili si può persino fare a meno di ogni incentivo, ma tutti gli impianti avrebbero bisogno di una vera rivoluzione nel processo autorizzativo che oggi arriva a durare anche 6 anni per raggiungere un esito non sempre positivo. Il Coordinamento FREE (Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) ha calcolato che nella migliore delle ipotesi a questo ritmo di istallazioni raggiungeremo gli obiettivi che ci siamo dati per il 2030 soltanto nel 2070, con tanti saluti alla decarbonizzazione e alla modernizzazione del sistema energetico.
Ma cosa c’è alla base di queste lentezze e farraginosità? Innanzitutto il (non) funzionamento generale della macchina amministrativa nel nostro Paese a tutti i livelli, statale, regionale, provinciale (esistono ancora ed entrano in parecchi processi autorizzativi), comunale; così come la fuga dalle responsabilità di funzionari che a loro volta hanno una robusta scusante in un quadro normativo barocco e che lascia troppi margini a scelte soggettive e non sufficientemente automatizzato. È evidente infatti che regole più chiare e che lascino meno spazio a criteri discutibili che ogni amministrazione può applicare a suo piacimento, diminuirebbero sia i rischi di corruzione (sempre in agguato), sia i tempi delle autorizzazioni; se si sapesse che una determinata area “non è idonea” nessuna impresa presenterebbe un progetto in quel sito, e d’altra parte se gli adempimenti burocratici fossero più semplici e i tempi di risposta fossero davvero perentori e non dilatabili all’infinito, quelle stesse imprese avrebbero più certezze e i costi si ridurrebbero.
Ma non sono solo gli ostacoli normativi quelli da superare, ce ne sono altri di ordine culturale e sociale. Il principale riguarda il rapporto tra paesaggio e rinnovabili. Su questo bisogna essere chiari: la scelta di uscire dall’ “era fossile” non è negoziabile, ne va della sopravvivenza di quei paesaggi che vogliamo tutelare e anche di quella della nostra specie su questo Pianeta. Se vogliamo decarbonizzare il sistema energetico, dobbiamo fare ogni sforzo per renderlo più efficiente ed evitare ogni spreco, a partire dal rinnovamento del nostro patrimonio edilizio, ma dobbiamo soprattutto sostituire le grandi centrali termoelettriche che bruciano carbone e gas con tanti impianti rinnovabili. Il rinnovabile (sia esso fotovoltaico, eolico, geotermico o quant’altro di innovativo) è per sua natura più piccolo e diffuso. Quindi al nostro territorio sarà sempre più richiesto di abituarsi alla convivenza con pale eoliche e pannelli fotovoltaici (non solo sui tetti, non bastano). Questo vuol dire rinunciare a un inserimento corretto di questi manufatti nel nostro meraviglioso paesaggio? Certo che no, ma l’alterazione del paesaggio da parte degli impianti non potrà però essere più considerata una motivazione sufficiente per ricevere pareri negativi sulla loro installazione. E non si può pensare di escludere a priori le aree agricole, sia perché – ahimè – son tante quelle aree a destinazione agricola che non sono più coltivate da anni e possono essere recuperate (anche di nuovo all’uso agricolo se si vuole) se si punta sul rinnovabile, sia appunto perché ormai iniziano ad esserci esperienze sempre più virtuose di agrivoltaico. Infine, vanno respinte con forza quelle opposizioni nimby che dipingono le pale eoliche come ecomostri o i pannelli fotovoltaici come i veri responsabili del consumo di suolo nel nostro Paese. La mobilitazione immotivata contro questi impianti utili è un paradosso in un Paese che ha il record di cementificazione del suolo, che ha spesso abusivamente fatto scempio delle nostre coste, che è disseminato di capannoni industriali abbandonati e la lista potrebbe continuare. Non c’è alcun motivo per il quale degli impianti non possano armoniosamente inserirsi nei nostri paesaggi, alterandoli certo ma non danneggiandoli.
La sfida della decarbonizzazione riguarda tutti e non possiamo permetterci di non giocarla, anche perché le imprese italiane pronte a coglierla e a offrire opportunità occupazionali importanti ci sono; facciamoli lavorare in un quadro di regole giusto e condiviso.

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