Rinnovabili, mobilità e superbonus: il nuovo governo cambi il PNRR

pubblicato su RiEnergia

Dal Recovery Plan dovrebbe emergere una strategia complessiva sul futuro del nostro Paese e andrebbero evidenziate le riforme strutturali per decarbonizzare l’economia. Ma nel Piano c’è un’assenza di visione. Le controproposte di Kyoto Club per il PNRR.

I fondi che l’Europa ha stanziato con il Next Generation EU, per definizione (letterale!) e per ispirazione, dovrebbero essere uno strumento fondamentale per trasformare l’economia del nostro Paese e accelerare i processi di innovazione, decarbonizzazione, resilienza.

Paradossalmente, però, nel dibattito pubblico sviluppatosi attorno alla crisi dell’ultimo governo, sono sembrati scomparire tanto una visione “alta”, quanto il tema delicatissimo della gestione delle risorse del Recovery Plan. Questione, questa, che avrebbe dovuto essere centrale in un Paese che ha uno dei suoi principali punti deboli nella difficoltà di mettere in campo le procedure per spendere (e spendere bene) le risorse euopee, praticamente da sempre.

Si è dimenticato ciò che è necessario: dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) dovrebbe emergere una strategia complessiva sul futuro del nostro Paese e andrebbero evidenziate le indifferibili riforme strutturali per rendere possibile il cambiamento verso una nuova economia decarbonizzata e salubre, che si fondi su coesione, innovazione sociale e vera equità.

Non basta che le risorse destinate al green siano il 37% dei 209 miliardi in arrivo da Bruxelles. Piuttosto sarebbe efficace che tutto il piano venisse misurato dal punto di vista della decarbonizzazione e che quella stessa trasversalità che il PNRR prevede, giustamente, per altri temi – Mezzogiorno, giovani, parità di genere – valesse anche per la conversione ecologica dei nostri modelli di produzione e consumo.

Si può capire meglio cosa si intenda per “assenza di visione”, entrando nel merito di alcune singole iniziative. Un nodo molto importante, da questo punto di vista, riguarda il “Superbonus” del 110% per la riqualificazione dell’edilizia residenziale: una strada certamente corretta ma perfettibile sia sotto il profilo della semplificandone delle procedure, sia riguardo l’estensione, in alcuni casi, della sua applicabilità, ma soprattutto su una migliore individuazione di cosa è incentivabile.

Una parte degli incentivi potrebbero essere infatti risparmiati differenziando l’erogazione di finanziamenti dei sistemi di riscadamento che impiegano fonti energetiche fossili da quelli che invece sfruttano impianti a energie rinnovabili. Va in questo senso la campagna lanciata da Legambiente e Kyoto Club, Per la decarbonizzazione degli impianti di riscaldamento in Italia, che chiede a Governo e Parlamento di fissare una deadline per l’installazione di impianti di riscaldamento fossili al 2025 – seguendo l’esempio di altri Paesi europei come Regno Unito, Svezia e Paesi Bassi. Si può, e ci si deve poi concentrare sulla riqualificazione del parco edifici e sulla rigenerazione urbana, puntando (anche come filiera industriale) su materiali davvero sostenbili e sulla infrastrutturazione digitale di tutto il costruito.

Al di là degli auspicabili correttivi, il problema è che al Superbonus vengono destinati oltre 20 miliardi nel PNRR: una cifra sovrastimata che comporta l’effetto di sottrarre risorse ad altre iniziative non procrastinabili. Tra queste vi è senza dubbio lo sviluppo delle energie rinnovabili, che risultano fortemente penalizzate, quando invece dovrebbere essere centrali. Se si vogliono centrare gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni del 55% in dieci anni, è infatti necessario supportare l’installazione di nuovi impianti semplificando le procedure burocratiche, e aumentare i target sia per quanto riguarda il contribuo delle fonti pulite che rispetto all’efficienza energetica. Gli obiettivi previsti in tal senso dal Piano Nazionale Clima ed Energia, se già apparivano timidi al momento della sua approvazione, adesso, dopo l’innalzamento dei target di riduzione delle emissioni da parte dell’Unione Europea, si possono già definire obsoleti. Coordinamento FREE e Kyoto Club hanno infatti calcolato che, se procedessimo al ritmo degli ultimi anni, ci vorrebbero oltre 60 anni per raggiungere quei prudenti obiettivi fissati dal PNIEC al 2030.

Dal 2014, i Governi che si sono succeduti in questo Paese, di ogni colore, hanno messo ostacoli allo sviluppo delle fonti rinnovabili e non hanno mai voltuo affrontare la questione legata ai tempi infiniti delle procedure autorizzative. Si può e si deve invece mettere mano pesantemente a quelle norme per consentire le installazioni di nuovi impianti e il repowewring di quelli esistenti. Si può fare, ovviamente senza danneggiare ambiente, ma togliendo poteri di veto non più accetabili, ad esempio alle Soprintendenze, quando i terittori interessati dai progetti non ricadano in aree già vincolate.

Nel PNRR, sino adesso, rimangono troppo vaghi inoltre i progetti sull’idrogeno: un vettore energetico che può essere molto utile per decarbonizzare alcuni settori, in primis quelli “hard to abate”; è però cruciale che siano sostenuti da risorse pubbliche solo e soltanto i progetti, per così dire, densi di futuro, in cui, cioè, l’idrogeno sia prodotto da fonti rinnovabili.

Un altro punto importante è la mobilità. Le principali organizzazioni ambientaliste italiane hanno già evidenziato una pericolosa attenzione del PNRR rispetto allo sviluppo delle grandi opere, come l’alta velocità. Per  rilanciare i trasporti in chiave sostenibile servirebbe piuttosto un deciso impulso alle reti per la ciclabilità, la pedonalità e la rigenerazione dello spazio urbano, azioni mirate per l’elettrificazione dei trasporti, per il potenziamento del TPL elettrico e della mobilità condivisa.

Nel Piano ci sono molte altre mancanze: andrebbe inserito, ad esempio, l’obiettivo di raggiungere il 40% di terreni agricoli certificati biologici entro il 2030 (secondo il Mipaaf, attualmente sono il 15,5% della superfice agricola utilizzata – dati 2018). Prioritaria è una legge avanzata che blocchi il consumo di suolo, visto che, secondo l’Ispra, l’Italia perde, ancora oggi, 2 metri quadrati al secondo di terreno, a vantaggio di edificazione e cementificazione. C’è poi il capitolo economia circolare, che nel PNRR è limitato alla gestione dei rifiuti, trascurando altre questioni cruciali, come l’investimento sulle filiere industriali legate alla bioeconomia circolare.

Il nuovo Governo, in conclusione, deve avere il coraggio di cambiare il PNRR e incentrarlo per davvero sulla decarbonizzazione e l’innovazione. Come ricorda l’IPCC, abbiamo meno di 10 anni per invertire la rotta, dimezzare le emissioni e cercare di contenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°/2°, per mantenere fede alle promesse che la comunità globale si fece a Parigi nel 2015. Promesse che devono essere mantenute se vogliamo garantire la sopravvivenza del genere umano ed evitare un pericoloso assist al cambiamento climatico.

ANNALISA CORRADO

FRANCESCO FERRANTE

GIACOMO PELLINI

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