Se al mondo serve una strategia climatica all’Italia serve una Legge sul Clima

pubblicato su RiEnergia

La COP26 comincia obiettivamente con poche speranze. Che si giunga a un esito per cui la somma degli impegni – verificabili – dei singoli Paesi possa garantire il non superamento della soglia di 1,5 °C, che la comunità scientifica ritiene l’unica sicura per non innescare fenomeni irreversibili, è assai difficile, se non impossibile. Tuttalpiù, e non sarebbe poco, si potrà finalmente ottenere che il flusso di risorse dai paesi ricchi per finanziare adattamento e mitigazione in quelli più poveri aumenti a un livello più adeguato all’emergenza in atto (i 100 miliardi promessi anche al G20).

Il risultato che più realisticamente possiamo auspicare è che si mantenga aperto il dialogo con i colossi asiatici e che le trattative per avvicinare il picco delle emissioni (che la Cina a oggi prevede nel troppo lontano 2030) restino centrali per le diplomazie occidentali nei prossimi mesi. In questo quadro risulta quindi determinate andare a verificare se almeno abbiamo le carte in regola per esercitare tale pressione su India e Cina.

Invece non sappiamo ancora quale sarà il nuovo target italiano di riduzione delle emissioni climalteranti al 2030 rispetto al 1990, anche se il Governo ha indicato il valore del 51% (contro il 55% europeo e il 38% fissato dal nostro Pniec solo due anni fa). Nel 2019 il nostro paese aveva tagliato le emissioni del 19,4% (il valore del 2020 è stato falsato dalla pandemia).

Cosa ci dicono questi numeri? Che nei prossimi nove anni dovremo effettuare una riduzione del 60% superiore rispetto a quella ottenuta negli ultimi trent’anni. Una bella sfida, ma probabilmente ancora poco compresa nella sua portata.

Ce la potremo fare?  E, prima ancora, abbiamo la consapevolezza dello sforzo che ci aspetta?

È probabile che la portata dei tagli imposti dall’emergenza climatica sia ancora lontana dalla percezione di un’ampia quota del mondo politico e dei media. Una parte delle imprese, specie quelle che interagiscono con l’estero, sono invece più avvertite dei futuri cambiamenti.

Venendo alla fattibilità del percorso di riduzione al 2030 e di quello che ci dovrebbe poi portare alla neutralità climatica al 2050, possiamo fare riferimento all’andamento di una curva a S, una logistica. La diffusione di una innovazione vede una partenza lenta, poi un’accelerazione esponenziale, seguita da un rallentamento che porta ad un asintoto.

Le evoluzioni del solare e dell’eolico da un lato, e quelle della mobilità elettrica dall’altro, sembrano ripercorrere a livello globale questa dinamica.  I prossimi 15-20 anni saranno, infatti, caratterizzati dalla accelerazione della curva di crescita.

Diversi ostacoli possono rallentare il percorso, com’è successo alle rinnovabili negli ultimi sette anni in Italia, in larga parte a causa dell’insana gara al ribasso sulle autorizzazioni tra Soprintendenze ai beni culturali, Regioni e Ministeri.  Ma le prospettive sono buone, grazie alle semplificazioni previste e alla possibile irruzione delle Comunità energetiche, dell’agrovoltaico, delle centrali solari, dell’eolico offshore.   Con un’attenzione che dovrà crescere sulle varie forme di accumulo, da quelle decentrate a quelle centralizzate, e anche sulle interconnessioni, incluse quelle tra diversi paesi.

La mobilità elettrica avrà problemi autorizzativi molto inferiori, come quelli delle infrastrutture di ricarica (con l’assurdità di non averne in autostrada, mentre si prevedono punti di ricarica di idrogeno). Ma il crollo dei prezzi nei prossimi anni fa prevedere l’inesorabile progressiva marginalità dei motori a combustione interna.

La priorità della riduzione dei consumi

Per accelerare la corsa delle rinnovabili è indispensabile sia la riduzione dei consumi energetici che l’aumento della penetrazione dell’energia elettrica. È evidente, infatti, che altrimenti sarebbe molto complicato, se non impossibile, per le energie verdi riuscire a soddisfare la domanda, senza penalizzazioni degli spazi da utilizzare e dei materiali da impiegare.

Qualcosa si sta già facendo. I consumi finali di energia della UE tra il 1990 e il 2020 sono rimasti sostanzialmente stabili, a fronte di un forte aumento del Pil. E, negli scenari per raggiungere la neutralità climatica a metà secolo, nei paesi ricchi dovranno drasticamente ridursi. Un risultato ottenibile grazie ai miglioramenti tecnologici, alle politiche di efficientamento, ma anche al cambiamento del modello economico e a nuovi stili di vita.

L’esercizio più complesso e delicato riguarda proprio il cambiamento delle regole di funzionamento dell’economia.  Ad iniziare dalla accelerazione delle politiche di circolarità con uno spostamento, peraltro già in atto in alcuni comparti industriali, verso la maggior durata dei prodotti e la loro riciclabilità in grado di ridurre i consumi di energia e dei materiali. E intervenendo sulla fiscalità per ridurre le enormi diseguaglianze sociali.

Ma serviranno anche scelte diverse nei modelli di alimentazione, di trasporto e, soprattutto, di consumo.  Come il passaggio ad uno stile più sobrio che eviti, per fare un esempio, l’acquisto su Amazon di una maglietta prodotta a migliaia di chilometri di distanza buttata via dopo pochi mesi. Naturalmente il discorso si deve allargare al funzionamento di molti settori economici, che dovranno sempre più fare i conti con i limiti di un modello che punta solo alla crescita quantitativa. Il limite posto dalla sfida climatica, la neutralità fra trent’anni, imporrà un riorientamento delle scelte, degli obiettivi industriali come di quelli agricoli, altrimenti impensabili.

L’emergenza Covid ci ha fatto riflettere sull’importanza del ruolo dello Stato. Anche per affrontare la crisi climatica occorrerà una profonda riflessione critica per la valorizzazione di nuove politiche pubbliche volte alla reindustrializzazione green del paese. La sfida è gigantesca, di portata mai vista nell’ultimo secolo.

Ma sono diversi i paesi che si stanno attrezzando puntando sulla centralità di efficienza e rinnovabili.  La Germania, ad esempio, intende raggiungere la neutralità climatica nel 2045, chiudendo tutte le centrali nucleari nel 2022 e quelle a carbone entro il 2030. Il percorso verso la neutralità climatica probabilmente non sarà lineare. A volte, occorrerà rivedere le scelte e le priorità, ma il percorso che intende compiere Berlino punta sull’innovazione e sulla creazione di nuovi comparti industriali.

Un percorso che offre diversi spunti anche per noi. WWF, Legambiente, Greenpeace, Kyoto Club e T&E ritengono necessaria una Legge per il clima e propongono un target di riduzione del 65% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2040.

Le rinnovabili saranno in prima fila nella decarbonizzazione con un mix di soluzioni decentrate e centralizzate.  Produrranno idrogeno verde, in parte in Italia, in parte all’estero. Ci saranno molte innovazioni radicali nell’industria, come nell’edilizia, nei trasporti e nell’agricoltura.

Tutti cambiamenti che non potranno aver luogo senza una fortissima pressione dal basso, in particolare da parte delle giovani generazioni.

GIANNI SILVESTRINI

FRANCESCO FERRANTE

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