Un ponte nel deserto

A Messina in piazza contro l’opera 

Domani a Messina migliaia di persone parteciperanno a una manifestazione organizzata dagli ambientalisti e a cui hanno aderito tante associazioni per dire “no”o al ponte sullo stretto. Non è avventato prevedere che saranno in tanti e che la manifestazione sarà  un successo ancora maggiore di quella analoga organizzata nel dicembre 2004 dallo stesso cartello e di quella del marzo 2005 da Legambiente. In questi mesi infatti è cresciuta nei cittadini siciliani e calabresi l’opposizione a quell’inutile opera e la consapevolezza nell’opinione pubblica italiana che ben altre sono le infrastrutture che servirebbero al nostro paese e al Mezzogiorno in particolare. Da una parte il risultato delle recenti elezioni comunali a Messina ci dice che i messinesi non credono alle promesse di mirabolanti occasioni di sviluppo che avrebbe creato il ponte su cui il centrodestra aveva basato la sua campagna elettorale. Dall’altra l’assurdità  di quell’opera appare evidente sia a un economista liberale doc come Francesco Giavazzi, che in un bellissimo editoriale sul Corriere della Sera di due giorni fa (“Meno ponti più taxi”) spiega appunto quanto ad esempio sarebbero più utili e urgenti politiche di liberalizzazione per le licenze dei taxi piuttosto che costosissime e faraoniche opere, sia alla Cgil che per la prima volta ieri dichiara di condividere le ragioni di chi ha convocato la manifestazione contro il ponte e invita i lavoratori a parteciparvi. La scelta del ponte è tra i simboli più efficaci di scelte fallimentari nel settore delle infrastrutture, non sostenute da alcuna seria politica dei trasporti e che rendono sempre più forte il predominio della mobilità  su gomma, allontanandoci sia dall’Europa (non c’è in nessun altro grande paese europeo un tale predominio del trasporto su gomma). Il ponte è un’opera insensata se si confrontano i 10 miliardi di euro necessari per la sua realizzazione con la cronica indisponibilità  di risorse per affrontare i drammatici problemi di mobilità  del Mezzogiorno. Oggi per andare in treno da Palermo a Messina (poco più di 200 chilometri) occorrono almeno tre ore di viaggio, per raggiungere Potenza da Reggio Calabria ce ne vogliono cinque o sei, e su 1.450 chilometri di ferrovie siciliane solo 105 sono a doppio binario e quasi la metà  non è elettrificata. Se a questi dati si aggiunge il pessimo stato di manutenzione delle reti sia stradali che ferroviarie e la qualità  più che scadente dei servizi di trasporto pubblico, si ottiene una fotografia attendibile del collasso della mobilità  nel Sud: rispetto a una situazione così degradata, che costituisce oltretutto uno degli ostacoli principali sulla via del rilancio economico delle regioni meridionali, il ponte sullo stretto non migliorerebbe le cose di una virgola, anzi le peggiorerebbe assorbendo molti miliardi di soldi pubblici. Realizzare il ponte sarebbe una decisione inconciliabile con l’obiettivo di rendere il nostro paese, e il Mezzogiorno in particolare, più moderni e più efficienti. Quest’opera che Berlusconi e il centrodestra ancora agitano come una sorta di panacea per i mali del Sud, non proietterebbe la Sicilia e la Calabria verso il terzo millennio, semmai le inchioderebbe a perpetuare definitivamente la peggiore “Italietta” del passato.