pubblicato su Greenreport.it
C’è una citazione di Alex Langer molto nota nella quale si esprimeva con chiarezza che la “transizione ecologica” non si sarebbe mai affermate fin quando non sarebbe stata socialmente desiderabile. E d’altra la parte c’è la vulgata delle destre – in Europa come in Usa – che ripetono come ebbe a dire da noi il ministro dell’Ambiente del Governo giallo-verde, oggi a capo di Leonardo, Roberto Cingolani, che la “transizione ecologica sarà un bagno di sangue”, alimentando la paura che a subire i danni della “sbornia ideologica del Green deal” sarebbero state le classi sociali più povere. Un refrain che purtroppo qualche volta sembra far breccia a sinistra – si vedano le posizioni di Melechon in Francia ad esempio.
Quello che tutti gli anti-green si dimenticano sempre di calcolare sono i costi – economici e sociali – della mancata transizione e le devastazioni, non solo ambientali, che la crisi climatica già provoca e che colpiscono di più proprio i popoli e i ceti più poveri. Ma è vero che di fronte alla necessità e urgenza di dover decarbonizzare il nostro sistema e seppur nella consapevolezza che nel medio-lungo periodo la vera e propria rivoluzione industriale in cui siamo immersi porta con sé anche belle occasioni di democratizzazione di nuova e più stabile occupazione, nel breve dobbiamo porci il problema di evitare che qualcuno faccia la fine dei cocchieri.
Per questo a livello europeo il Green deal sin dall’inizio era accompagnato da una riflessione sulla Just transition e per questo la Ue si è dotato di uno strumento, il Fondo sociale per il clima, che una volta recepito dai Paesi membri con i piani nazionali (Psc) metterà a disposizione delle risorse (significative seppur forse ancora insufficienti) per accompagnare la transizione, tutelare i soggetti (cittadini e imprese) più fragili e anzi far cogliere pure a loro l’occasione di miglioramento.
Ma se il nostro Governo guarda sempre con sospetto qualsiasi cosa che abbia a che fare con il green e la crisi climatica, non possono bastare nemmeno le competenze e la buona volontà delle tecno-strutture (in questo la competente Direzione generale del Mase) per gestire per tempo la fase di consultazione con gli stakeholder (partita in ritardo) e l’occasione davvero rischia di essere persa.
Non a caso, undici organizzazioni e reti impegnate nel sociale e a difesa dell’ambiente (Forum Disuguaglianze e Diversità, Legambiente, Wwf, Transport&Environment, Caritas Italiana, Clean Cities Campaign, Cnca, Greenpeace, Kyoto Club, Mira Network e Nuove Ri-Generazioni) hanno presentato un documento congiunto con osservazioni puntuali e proposte di miglioramento alle misure contenute nel Piano, perché ritengono che nella bozza presentata dal Governo manchi in premessa una puntuale analisi di impatto sociale del sistema Ets2 (che interverrà su mobilità e edilizia) e sui costi che eventualmente dovranno sopportare i soggetti più vulnerabili, e di conseguenza non sembra esserci una strategia complessiva e di coerenza delle misure proposte, che nella migliore delle ipotesi risultano un collage di buone intenzioni. Queste lacune rischiano di compromettere l’efficacia del piano e di minare il raggiungimento degli obiettivi climatici e sociali dichiarati.
Le proposte delle organizzazioni si sono concentrate, quindi, su alcune misure chiave nei settori dell’edilizia e dei trasporti. In particolare, viene richiesto il rafforzamento delle misure di riqualificazione energetica degli edifici anche attraverso un innalzamento degli obiettivi minimi di efficienza, coerentemente con le misure previste con gli obbiettivi della decarbonizzazione e una maggiore efficacia nella tutela delle fasce vulnerabili. Per le microimprese vulnerabili viene richiesta una revisione dei criteri di accesso, ritenuti imprecisi, e una maggiore efficacia nel perseguimento degli obbiettivi di decarbonizzazione mentre sul reddito energetico si richiede l’integrazione, tra le misure proposte, di sistemi di accumulo e l’estensione agli affittuari tra i destinatari dell’intervento. Un’altra importante misura su cui intervengono le organizzazioni è quella del Ted (il tutor per l’energia domestica, che dovrebbe aiutare le famiglie vulnerabili a gestire l’impatto dei costi energetici) che sconta, nella formulazione attuale del Piano, di una impostazione eccessivamente tecnico-professionale, che andrebbe invece radicata nei territori di intervento, coinvolgendo le realtà istituzionali e sociali esistenti.
Infine, nel settore trasporti, viene richiesta una revisione dei bonus per veicoli nuovi e usati, con maggiore attenzione verso i vulnerabili e alle caratteristiche territoriali e un rafforzamento della misura per il trasporto integrato attraverso un migliore coordinamento e una pianificazione efficace.
Le organizzazioni auspicano quindi che la consultazione prosegua con un reale percorso di co-progettazione, volto a costruire politiche pubbliche strutturali e inclusive. Solo così sarà possibile garantire una transizione ecologica giusta, capace di ridurre le disuguaglianze e di proteggere le fasce più fragili.