Bioplastiche, salute, mercato: chi vale di più?

pubblicato sul Corriere della Sera

Innovazione da promuovere o condannare?

Qualche giorno fa l’Antitrust ha sanzionato Novamont “per abuso di posizione dominante” nella produzione di bioplastiche per i sacchetti per la spesa e quelli ultra leggeri per frutta e verdura. Nel commentare questa sentenza chi scrive deve in premessa “confessare” una sorta di “conflitto di interesse”. La lotta contro l’inquinamento da plastica è infatti una delle missioni del movimento ambientalista dagli anni ‘80. La campagna di Legambiente “Deplastifichiamoci”, che vide numerose amministrazioni comunali emanare delibere che vietavano la vendita di sacchetti di plastica, risale al 1986. Sull’onda di quelle campagne l’Italia nel 2007, prima in Europa, approvò nella Legge di bilancio il divieto di commercializzazione di sacchetti di plastica non biodegradabili e compostabili. Un divieto che, a causa delle consuete lentezze del nostro Paese, trovò applicazione concreta solo qualche anno più tardi, ma che ha consentito di ottenere risultati straordinari. Da allora, infatti, si è dimezzato il consumo di sacchetti usa e getta anche perchè è tornata a diffondersi la sporta riutilizzabile. L’Italia ha poi varato altri divieti – come quelli sulla produzione di bastoncini in plastica tradizionale per la pulizia delle orecchie nel 2019 e sull’uso delle microplastiche nei prodotti cosmetici da risciacquo nel 2020 – che sono stati ripresi nella successiva direttiva europea sulla plastica monouso. È una storia di successo che è stata resa possibile dal combinato disposto della capacità dei cittadini di adottare stili di vita sostenibili e dell’invenzione, grazie alla ricerca industriale e all’innovazione tecnologica, di un prodotto – la bioplastica – che si basa sull’utilizzo di materie prime rinnovabili in sostituzione delle fossili. Essendo compostabile la bioplastica ha anche contribuito a fare di questo paese il migliore in Europa nella raccolta differenziata dell’umido domestico. Tutto ciò sembra essere ignorato dall’Antitrust che si concentra solo sulla percentuale di mercato che l’azienda condannata ha nel nostro paese in quel segmento di mercato. Risultato inevitabile se per primi ci si lancia in una nuova avventura, tra l’altro con importanti ricadute sulla riconversione di impianti da tempo chiusi e sulla salvaguardia occupazionale. Insomma forse – a prescindere dall’esito di inevitabili ricorsi – questa sentenza deve essere l’occasione per porsi la domanda su cosa invece si dovrebbe fare per promuovere l’innovazione nell’economia circolare, e nella transizione industriale che stiamo vivendo, piuttosto che ostacolarla, come invece sembra emergere da questa vicenda.

Stefano Ciafani, Presidente Legambiente

Francesco ferrante, Vicepresidente Kyoto Club

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