pubblicato su La Nuova Ecologia
È fallito il vertice Onu che avrebbe dovuto porre un limite alla plastica. Un brutto presagio sui destini della Cop30 che si terrà in Brasile tra un mese
In una tragica estate di guerra in Europa e di stragi proprio di fronte a noi, sull’altra sponda del Mediterraneo, abbiamo dovuto registrare un altro fallimento – ovviamente di ben altra portata – dell’approccio multilaterale sul quale dal dopoguerra in poi abbiamo basato speranze di pace fondate su accordi internazionali. Qualche settimana fa è infatti fallito il vertice delle Nazioni Unite a Ginevra, che avrebbe dovuto porre un limite all’inquinamento globale da plastiche (si calcola che tre quarti della plastica prodotta nel mondo finisca in discarica). Come ogni accordo in sede Onu, dove si procede “per consenso”, serviva l’accordo di tutti ed è bastata la minoranza agguerrita dei Paesi produttori di petrolio – guidati da Arabia Saudita, Usa e Russia – per impedire ogni accordo, anche il compromesso proposto dall’Europa.
L’obiettivo che si proponeva la Conferenza era di ridurre la produzione di plastica, sviluppare l’economia circolare e una filiera sostenibile del riciclo della plastica: la missione è fallita, nonostante dati molto allarmanti. Negli ultimi settant’anni sono state prodotte oltre 9 miliardi di tonnellate di plastica, 7 sono diventate rifiuti (finiti in ogni dove), dagli anni ’90 a oggi il consumo di plastica è addirittura quadruplicato ma ancora oggi il tasso di riciclo globale è fermo al 10%.
Un altro problema gravissimo che a Ginevra non ha trovato alcuna soluzione è quello delle sostanze chimiche contenute nella plastica. Si calcola che siano oltre 16.000 e sappiamo con certezza che oltre 4.000 sono a vari livelli nocive per la salute delle persone e per l’ambiente, ma finora è stato regolamentato l’utilizzo di meno di mille di queste sostanze. Nulla di fatto neanche in questo caso.
D’altra parte, che i consumi di petrolio siano inevitabilmente destinati a ridursi nei trasporti, data l’impetuosa avanzata dell’elettrico anche in quei Paesi come la Cina dove la domanda di mobilità aumenta, è un fatto. E quindi si capisce la strenua resistenza nella difesa della petrolchimica di chi basa la propria ricchezza sull’estrazione dei fossili. Aggiungeteci la crociata ideologica del negazionista Trump, ben sostenuta dai suoi finanziatori, e la frittata è fatta.
Pessima notizia in sé, ma anche brutto presagio sui destini della Cop30 che si terrà in Brasile a novembre. Già indebolita dall’assenza degli Usa, il suo destino sembra segnato dal blocco fossile. Sono tempi duri, inutile provare a negarlo. Vero è che l’innovazione tecnologica in ogni campo – dalle rinnovabili alla bioeconomia – ci potrebbe aiutare nella transizione e garantire sostenibilità economica e ambientale, ma se manca la “gamba” politica tutto ciò può restare solo in mens dei. Non ci sono scorciatoie: si tratta di far crescere il consenso alle ragioni dell’ambientalismo e della nuova economia, altrimenti insieme all’ambiente sono a rischio molte altre cose, a partire dallo stesso sistema democratico. Ma su questo torneremo nei prossimi mesi.