pubblicato su La Nuova Ecologia
Una storia minuziosa, e un’analisi “scomoda”, del pensiero pacifista occidentale e delle sue contraddizioni
L’ultima fatica da storico di Roberto Della Seta è Pacifismi. Storia plurale di un’idea controversa. Un saggio, uscito lo scorso giugno, nel quale l’autore si esercita nello studio dei molteplici pacifismi che nel corso degli ultimi due secoli hanno percorso il pensiero occidentale. Com’è suo costume, Della Seta affianca a un lavoro minuzioso e approfondito sulle fonti un’analisi mai scontata sull’evoluzione del pensiero pacifista, sulle sue contraddizioni. Da quello “assolutista” di Tolstoj, ad esempio, che eleva a bene assoluto la pace in sé, a quello più “possibilista”, più strumentale – insito persino nella ribellione nonviolenta gandhiana – che privilegia l’obiettivo da raggiungere.

(Mimesis, pp. 420, 28 euro)
Nella sua ricerca, Roberto Della Seta parte addirittura da Piccole donne di Louisa May Alcott, che circa due secoli fa ebbe tra i suoi insegnanti il proto-pacifista Thoreau, per arrivare alle recenti cronache relative all’aggressione della Russia in Ucraina, dove diventa esplicita la sua critica a un pacifismo che, negando le armi di difesa a Kiev, non esita a paragonare a quei pacifismi europei e statunitensi che alla vigilia della seconda guerra mondiale non volevano combattere la Germania anche per vicinanza ideologica al nazismo. È evidente l’attualità della riflessione di Della Seta, il cui attivismo appassionato quanto sofferto di questi ultimi mesi contro la strage che il governo di Israele sta commettendo a Gaza, ma anche contro i crimini di guerra e le atrocità commesse dai coloni in Cisgiordania, conferma quanto il tema per lui non sia solo “argomento di ricerca” ma un impegno animato da vera passione civile.
Il centro dell’analisi di Della Seta è l’esistenza di multipli pacifismi, non uno soltanto – da qui “pacifismi” al plurale – che si sono sviluppati in tempi diversi e con motivazioni differenti: da un pacifismo “delle origini” di derivazione umanitaria e cosmopolita fino al “nazional-pacifismo” – ciò che oggi chiama “pacifismo sovranista” – che nasce tra le due guerre mondiali, con la rinuncia a intervenire contro il totalitarismo per preservare un presunto interesse nazionale. È qui, soprattutto nelle ultime pagine del volume, che si esercita la verve polemica dell’autore contro il pacifismo che definisce “strabico”, che condanna la violenza solo quando perpetrata da certi attori, tipicamente l’Occidente, che riemerge per esempio nella sinistra postbellica che accusa l’Occidente della guerra in Vietnam ma ignora le aggressioni sovietiche in Europa.
Ma si farebbe un torto allo sforzo di Della Seta se ci si concentrasse solo su questo aspetto – anche se è il più attuale e controverso – trascurando molti altri che la lettura di Pacifismi suscita. Due quelli che chi scrive reputa “più forti”. Il primo, forse più scontato e che ha a che fare con quella che potremmo definire una personale comfort zone (e che probabilmente condivido con i lettori di Nuova Ecologia), è che il filo rosso che tiene insieme questi molteplici pacifismi, con tutte le loro contraddizioni, è che spesso – se non sempre – la lotta per la pace si accompagna a un anelito progressista, di giustizia sociale, difesa dei diritti individuali e collettivi. Vale per Thoreau e la sua lotta contro lo schiavismo in America, vale ovviamente per Gandhi, ma anche nelle evoluzioni del pacifismo novecentesco. E in questo vedo anche un forte parallelismo con l’impegno ambientalista di organizzazioni come Legambiente, che non ha mai mancato di impegnarsi insieme alle organizzazioni pacifiste per una maggiore giustizia sociale, e di Greenpeace, a partire dal suo stesso nome.
L’altra riflessione che Della Seta mi ha stimolato con il suo lavoro è quella, a mio avviso non meno attuale e pregnante, sull’Europa. È vero che tutto il libro è fondamentalmente sul pensiero “occidentale”, con poche eccezioni (quella su Gandhi è la più rilevante). Ma la rilettura di alcuni brani, ad esempio di Kant, fa emergere con prepotenza quanti dei valori che oggi siamo chiamati a difendere di fronte all’avanzata delle autocrazie e alla deriva degli Usa di Trump – oltre alla pace, la stessa democrazia, i diritti individuali e collettivi, la lotta alle diseguaglianze – siano fondativi dell’Europa che ci piace.
Roberto Della Seta ci invita a interrogare il pacifismo non come dogma astratto ma come un campo di battaglia politico, etico e culturale, dove la pace e la giustizia si confrontano non solo con le guerre ma anche con le diverse sfaccettature delle nostre stesse idee. Resta da chiedersi quali forme di organizzazione debba darsi un pacifismo “contemporaneo” per affermare l’unica strada capace di speranza: dare forza a istituzioni sovranazionali dotate di poteri reali (una “spada” di diritto internazionale), non le svuotate Nazioni Unite attuali. Vaste programme direbbe qualcuno per liquidarlo come irrealizzabile, ma l’unico che vale la pena perseguire.