Uno sguardo oltre la Cop30

pubblicato su La Nuova Ecologia

È vero: le emissioni sono aumentate, la temperatura cresce e i negazionisti osservano felici il loro leader Trump. Ma nulla fermerà il processo in moto guidato dall’innovazione tecnologica

La cosa curiosa quando si scrive per un mensile è lo iato temporale tra il momento in cui pensi e quando quella riflessione arriverà al lettore. Stavolta, scrivendo alla vigilia della Cop30 e sapendo che mi leggerete dopo la sua conclusione, lo iato diventa “rischio”. Ma sono disposto a scommettere che la maggior parte dei commenti che avrete letto saranno stati di questo tenore: “Un altro inutile consesso dell’ecodiplomazia che non decide nulla, che rappresenta al suo peggio l’inazione delle Nazioni Unite e che è solo un inutile spreco di soldi e tempo, mentre la temperatura media globale del pianeta continua a salire”.

Non credo sia questo il modo corretto con cui guardare questi appuntamenti. Serve uno sguardo un po’ più ampio. In Brasile le Nazioni Unite sono tornate nel Paese dove tutto è cominciato. Era il 1992 quando i leader del mondo andarono a Rio de Janeiro, al “Summit della Terra”, dove furono firmate importanti convenzioni, tra cui quella sui cambiamenti climatici da cui nacquero queste conferenze. Sono passati più di trent’anni, ma saremmo miopi a non vedere la rivoluzione cui stiamo assistendo. È vero che le emissioni di gas climalteranti sono aumentate, che la temperatura cresce, che oggi i negazionisti della crisi climatica osservano felici le azioni del loro leader Trump. Questa è però solo “cronaca”, che non possiamo sottovalutare per gli effetti che determina nelle scelte politiche ma che non può ostacolare un processo storico in cui il driver principale è l’innovazione tecnologica.

L’innovazione ha permesso di realizzare manufatti senza ricorrere al petrolio, di rendere più efficiente l’uso delle risorse e il riciclo, ma soprattutto consente di convertire in energia elettrica le rinnovabili a costi sempre più competitivi, mettendo via via fuori mercato i fossili. Un trend inevitabile, che non si può fermare e che dimostra quanto uno dei cavalli di battaglia degli “inazionisti” sia insensato: chi vuole fermare il vento con le mani sostiene che gli sforzi europei per ridurre le emissioni di gas climalteranti sarebbero inutili, dato che quelle europee contano poco e che la fame di energia di quei Paesi che eravamo abituati a chiamare “in via di sviluppo” continua a far crescere le emissioni globali. Questi “frenatori” si ostinano però a non vedere che la Cina, per esempio, è diventata da tempo il maggior investitore e produttore di rinnovabili e che negli ultimi diciotto mesi il suo consumo di carbone ha cominciato a ridursi.

Si dirà: “ma se sono la tecnologia e gli economics i driver della transizione, a che servono queste adunate che nel tempo si sono trasformate da eventi i cui protagonisti erano le ong, gli ambientalisti e i Paesi del Sud del mondo a luoghi dove si incontrano più lobbisti delle fossili che delegati dei governi?” La risposta è che servono perché non abbiamo alternative possibili e desiderabili per la governance globale. E quindi, senza scorciatoie, bisogna impegnarsi per farle funzionare. Alla prossima!

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