Indietro non si torna più

Giornata importante il 3 maggio 2006. 

Nascono i gruppi dell’Ulivo alla camera e al senato. àˆ il primo passo verso il Partito democratico. La costruzione di questo nuovo soggetto è la molla più importante della mio impegno politico. Sappiamo tutti che questo è solo l’inizio, che la strada sarà  accidentata, che i problemi tra Ds e Margherita non spariranno d’incanto. E che molto bisognerà  lavorare perché la forza d’attrazione “leggera” che esercita l’Ulivo in molti elettori si faccia concreta realtà  nella società , nei territori. Ma non si torna più indietro, da oggi una retromarcia risulterebbe incomprensibile a i nostri elettori. L’atmosfera del gruppo al senato è concentrata, e non si direbbe che abbiamo appena vinto le elezioni. Non c’è traccia di gioia nei leader che presiedono l’assemblea (Prodi, Rutelli, Fassino), c’è piuttosto la consapevolezza che in frangenti così perigliosi, per la costruzione del governo e per la scelta del presidente della repubblica, stiamo qui facendo qualcosa di importante e forse persino di storico. La bella faccia seria e intensa di Anna Finocchiaro, il suo alzare di sopracciglio quando Rutelli nella sua introduzione presentandola dice che è lei conscia delle grandi difficoltà  che la attendono fotografa bene il nostro stato d’animo. La nascita di questo gruppo (i due terzi dei senatori della maggioranza) è sicuramente la garanzia migliore che faremo di tutto per garantire la governabilità . Questo paese ha un fortissimo bisogno di essere guidato, solo esercitando la capacità  di governo sino in fondo saremo in grado di cambiarlo anche in maniera radicale e dare risposta alle esigenze di innovazione e modernità  ai bisogni di giustizia e coesione sociale. Per questo, credo non ci sia allegria, per la consapevolezza della sfida grande che ci attende. Ci si scioglie un po’ solo quando Finocchiaro rivendica orgogliosamente la sua parzialità  di genere e ci avverte che favorirà  in tutte le maniere le nostre colleghe donne. Qualcuno sorride ma è evidente che la neo presidente fa sul serio e forse anche questo segno di novità  sarà  utile ad avvicinare la politica alla società  e a svecchiare alcuni riti molto maschili sempre uguali. La giornata che per me era iniziata con la presentazione della mia prima proposta di legge, portando pure al senato quella sui piccoli comuni anche in vista di Voler Bene all’Italia, la festa del 21 maggio che Legambiente organizza insieme a tantissime altre associazioni. Si conclude con una brutta notizia: Ciampi dice no alla sua rielezione. Ci sarà  da faticare e speriamo di riuscire a mantenere l’unità  tra di noi e trovare una candidatura su cui ottenere le più ampie convergenze in parlamento.

4/5/06 COMUNI: UNA LEGGE PER TUTELARE E VALORIZZARE I PICCOLI CENTRI

arte e cultura, saperi tradizionali e idee. Questo il patrimonio italiano custodito nei borghi antichi. Francesco Ferrante, eletto al Senato nelle liste della Margherita in Umbria, presenta il disegno di legge per sostenere e promuovere le “culle” della nostra cultura.

“Un sistema integrato di finanziamenti, di incentivazioni, di defiscalizzazioni e di semplificazioni burocratico-amministrative a favore dei comuni con meno di 5.000 abitanti: a marzo avevo preso l’impegno con i sindaci e i presidenti delle comunità  montane umbre, di battermi per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni e ho voluto che questo fosse il mio primo atto da Senatore eletto in una regione che delle comunità  e dei borghi antichi può vantare un tessuto ricco e prezioso”. Questa la dichiarazione di Francesco Ferrante, eletto senatore della Repubblica nelle liste della Margherita in Umbria, che a pochi giorni dall’inizio delle attività  del Senato ha presentato un disegno di legge mirato a salvaguardare e promuovere le potenzialità  di quei numerosi borghi – spesso bellissimi ma quasi abbandonati – che caratterizzano l’abitato italiano e in particolare quello umbro. “La presente proposta di legge – recita il testo – che contiene norme dirette a migliorare le condizioni di vita nelle aree del “disagio insediativo”, nasce dalla consapevolezza delle grandi potenzialità  delle aree in questione in termini di turismo, produzioni tipiche e risorse culturali e ambientali, quindi dalla volontà  di valorizzare tale patrimonio. (…) L’armonica distribuzione della popolazione sul territorio è una ricchezza insediativa che rappresenta una peculiarità  e una garanzia del nostro sistema sociale e culturale; una certezza nella manutenzione del territorio; una opportunità  di sviluppo economico. Nel nostro Paese 5.868 comuni hanno meno di 5 mila abitanti, pari al 72 per cento dei comuni italiani”. E questa ricchezza non può essere certo messa a rischio dai fenomeni di globalizzazione e spersonalizzazione che contraddistinguono altri paesi del mondo, più vasti magari, ma infinitamente meno antichi e preziosi, meno ricchi di storia, tradizioni, saperi, beni culturali e paesaggistici. Il testo di tale proposta, peraltro, riproduce il testo del disegno di legge che Ermete Realacci aveva presentato durante la XIV Legislatura, e che era stata approvata pressoché all’unanimità  dalla Camera dei Deputati. “L’approvazione di questa legge – ha dichiarato Francesco Ferrante – può significare molto per questa regione dove il 68% dei suoi 92 comuni, ha meno di 5.000 abitanti. Perché prevede un sistema integrato di finanziamenti, di incentivazioni, di defiscalizzazioni e di semplificazioni burocratico-amministrative per consentire a questi territori di competere e di cogliere le occasioni che paradossalmente proprio la globalizzazione ha aperto. Sfruttando le opportunità  offerte da questa legge sarà  possibile valorizzare l’agricoltura di qualità  e i prodotti a marchio e contribuire con efficacia per riportare l’Italia ai vertici del turismo mondiale con l’aiuto della leva fiscale. Potrà  nascere un sistema di promozione meno frammentato, in grado di valorizzare adeguatamente fattori di interesse come le produzioni tipiche, la cultura, l’industria d’eccellenza, la convivialità ”.

All’Istruzione serve un leader

Nei “totogoverno” che affollano in questi giorni i media, ci sono caselle di serie A, B e C. Per le prime (interni, esteri, difesa, giustizia, economia) corrono leader o outsider eccellenti. 

Nei “totogoverno” che affollano in questi giorni i media, ci sono caselle di serie A, B e C. Per le prime (interni, esteri, difesa, giustizia, economia) corrono leader o outsider eccellenti. Le seconde e le terze sono per gli altri. Lo schema sembra convincente: è naturale, sensato che il capo di un grande partito voglia occuparsi di temi importanti, strategici per il paese e la coalizione. Qualche dubbio sorge, invece, sui criteri in base ai quali un ministero è qualificato o no di serie A. Esattamente dieci anni fa, suscitò sorpresa la decisione dell’allora vicepremier Walter Veltroni di andare a fare, anche, il ministro dei beni culturali, ruolo tradizionalmente ritenuto marginale. In realtà , fu un atto di grande, davvero grande, intelligenza politica. Non solo perché Veltroni, per giudizio unanime, svolse la sua funzione in modo e con risultati eccellenti, ma perché con quella scelta inedita trasmise al mondo politico, e al paese, un messaggio quasi rivoluzionario: tutelare e valorizzare le nostre ricchezze storiche, monumentali, archeologiche e paesaggistiche, promuovere le attività  di creazione artistica, è uno dei primi investimenti – in termini culturali ma anche civili ed economici – per dare all’Italia un futuro di benessere. Oggi ci sarebbe un estremo bisogno di analoghi segnali di novità . Soprattutto, ne servirebbero in una direzione che tutti, nel centrosinistra e non solo, indicano come prioritaria: la scuola, l’università , la ricerca. Partiti e schieramenti, Confindustria e sindacati, intellettuali e osservatori stranieri, su un punto concordano: la possibilità  che l’Italia scongiuri i rischi di un progressivo e presto inarrestabile declino passano in primo luogo per un rilancio forte delle politiche per l’educazione, la formazione, la conoscenza. Su questo terreno, infatti, siamo indietro, vistosamente indietro rispetto a gran parte dell’Europa: lo dicono i numeri – la percentuale dei diplomati e dei laureati sensibilmente più bassa della media europea, gli alti tassi di evasione dall’obbligo scolastico – e lo dicono fenomeni altrettanto oggettivi come la “fuga dei cervelli” (i laureati italiani “emigrati” sono quasi dieci volte i laureati stranieri presenti in Italia), o il numero sempre più piccolo di brevetti hi-tech registrati nel nostro paese. E poiché per competere nell’economia globale non potremo certo contare su bassi costi del lavoro – campo nel quale i paesi emergenti hanno, per fortuna nostra e loro, un vantaggio incolmabile – né tantomeno sull’abbondanza di materie prime, solo colmando il gap di “conoscenza” con gli altri paesi industrializzati – e puntando sulla soft economy, l’economia del made in Italy, della cultura e del territorio, anch’essa ad alto valore aggiunto di informazione – riusciremo a dare gambe sufficientemente forti e veloci alla nostra economia. Bene. Queste considerazioni persino banali sono condivise, a parole, da tutti. E allora sarebbe bello se nel governo Prodi toccasse a un grande leader politico – Fassino, D’Alema, Rutelli – vestire i panni, così delicati e così decisivi, di ministro dell’istruzione e dell’università .

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